
Un convegno nel ciclo di incontri per gli 800 anni della nascita al cielo del poverello d’Assisi
Si è svolto sabato 15 aprile, nella sede dell’ex tribunale di Sarzana, già complesso conventuale di San Francesco, il convegno “È tradizione che andando scalzi”, promosso dal Centro “Niccolò V” quale Centro di cultura per lo sviluppo dell’Università Cattolica del “Sacro Cuore” di Milano.
Il titolo è tratto dall’iscrizione poetica di Corrado Martinetti collocata alla “Croce”, antico nodo stradale della via Francigena situato sulla rivierasca destra della Calcandola, esterno alle mura di Sarzana, prossimo alla porta del quartiere trecentesco di San Francesco ed al convento dei Frati minori. La tradizione, impressa nell’identità culturale sarzanese, narra che in questo luogo i santi fondatori di quelli che oggi conosciamo come Ordini mendicanti, San Francesco (1181/82-1226) e San Domenico (1171/75-1221), si siano incontrati, probabilmente nel 1214 l’uno diretto in Spagna e l’altro a Roma, ed abbiano fondato i rispettivi conventi. Strutture fiorenti nel secolo XIV, situate la prima ad oriente e la seconda ad occidente delle mura urbane, presso le porte omonime, disposte alle estremità della tumultuosa piazza mercantile della Calcandola.
La manifestazione, che ha visto pubblico attento ed interessato, ben coordinata dal prof. Egidio Banti, si inserisce nell’iniziativa, promossa dalla Famiglia francescana, di ricordare gli 800 anni della nascita al cielo del poverello d’Assisi o Pasqua di San Francesco, facendola precedere da altre importanti tappe: Il Natale di Greccio/La regola (2023); Il dono delle Stimmate (2024); Il Cantico delle Creature (2025).
Dopo i saluti del sindaco Cristina Ponzanelli e di Fra Gian Luigi Ameglio, Padre Guardiano del convento di Gaggiola alla Spezia, il prof. Banti ha presentato brevemente l’iniziativa e ceduto la parola a mons. Paolo Cabano che ha trattato il tema delle “Presenze Francescane a Sarzana” ripercorrendone, in modo completo ed esaustivo, le vicende storiche ed al sottoscritto che ha illustrato gli aspetti architettonico-urbanistici degli “Edifici e sedi degli Ordini Mendicanti”.
Molto interessante la lectio magistralis del prof. Marco Giuseppe Rainini, Associato di Storia del Cristianesimo e delle Chiese all’Università Cattolica di Milano, che facendo eco al titolo del convegno risponde: “…ma i Domenicani avevano le scarpe! Divergenze e incontri alle origini degli Ordini mendicanti”. Questa connotazione, neanche troppo banale, se ben ci pensiamo, era indice di un preciso stile di vita. Da un lato un gruppo uomini che alla domanda “Chi siete!”, rispondeva: “Siamo dei penitenti e veniamo da Assisi” dall’altro un gruppo di canonici regolari, che facevano vita comune. Mentre i primi erano laici, curavano i malati, ricostruivano chiese e ponti, gestivano ospedali e, per amore di Cristo, vivevano in penitenza, i secondi, colti teologi, Christi scholarium congregatis, affidavano al particolare carisma della predicazione il combattimento contro l’eresia. I primi erano scalzi per amore di povertà, mentre gli altri portavano scarpe e scapolare per non assomigliare agli eretici, pur osservando anch’essi la povertà volontaria.
A differenza dei monaci, legati al chiostro, questi due gruppi si spostavano e partecipavano della vita delle città. Quando Ugolino dei conti di Segni, cardinale e vescovo di Ostia dal 1206, che aveva avuto modo di conoscere sia Francesco che Domenico, comprese che queste due forze, tra loro complementari, erano necessarie alla Chiesa, ne favorì il consolidamento. Fu lui che nel romitaggio di Fonte Colombo collaborò con S. Francesco alla stesura della terza Regola, bollata da Papa Onorio III, il 29 novembre 1223, di cui quest’anno si ricorda l’ottocentesimo centenario, completando, circa due anni dopo la morte di Domenico, il processo di riconoscimento dei due Ordini.
Nel dicembre del 1216, infatti, lo stesso pontefice, aveva già posto sotto la protezione della Sede Apostolica la comunità di Domenico e confermato, il 21 gennaio 1217, come ordine religioso, detto dei frati predicatori, la fraternità dal lui fondata. In forza di questi riconoscimenti che sottomettevano direttamente al pontefice il loro operato, prescindendo dal vescovo diocesano, ai frati predicatori e poco dopo ai frati minori, furono concessi tra il 1221 ed il 1250 i privilegi di celebrare la santa Messa su altari portatili, ascoltare le confessioni e stabilire le penitenze, seppellire i laici nelle chiese conventuali.
Si intuisce quale possa essere stato il portato sociale di una tale scelta, rafforzata dalla canonizzazione dei due fondatori, san Francesco nel 1228, e san Domenico nel 1234, operata dal cardinale Ugolino, quando nel 1227 assunse il nome di Gregorio IX. I due conventi sarzanesi sono, come per molte altre città, l’esito di questa complessa fase della storia della chiesa; San Francesco (1238) esiste ancora mentre il convento di San Domenico, già fuori delle mura (1310), distrutto e trasferito all’interno della città (1442), nel 1807 è stato trasformato nel Teatro degli Impavidi.