La vendita di Oto Melara, tra politica internazionale ed economia locale

Preoccupazioni per i livelli occupazionali nello storico stabilimento di armamenti spezzino

La sede storica fabbrica di armamenti della Oto Melara alla Spezia
La sede storica fabbrica di armamenti della Oto Melara alla Spezia

Dopo mesi di indiscrezioni, la notizia è ufficiale: Oto Melara è in vendita. A mettere sul mercato la storica fabbrica di armamenti impiantata a Melara nel 1905 è Leonardo (ex Finmeccanica), colosso statale della difesa e degli armamenti guidato da Alessandro Profumo e socio di maggioranza della Oto Melara con il 50% delle quote azionarie. La notizia ha destato a Spezia grande preoccupazione per le prospettive occupazionali. Sebbene sia terminata da tempo l’epoca dei treni “operai” stipati di operai diretti alla fermata di Cà di Boschetti e delle corriere che dalla Lunigiana e dalla Val di Vara portavano nella zona delle Pianazze centinaia di tute blu, ancora oggi sono circa mille i lavoratori della sede spezzina di Oto Melara, a cui si aggiungono altri 500 addetti dell’indotto diretto: in gran parte spezzini ma anche non pochi lunigianesi; operai ma anche tecnici specializzati. Stampa finanziaria e analisti strategici indicano le ragioni della vendita nell’intenzione di Leonardo di aumentare la partecipazione nella società pubblica di armamenti tedesca Hensoldt. Sullo sfondo, sempre secondo la stampa, la possibilità per Leonardo di entrare nell’accordo franco-tedesco per la costruzione di un nuovo carro armato da combattimento europeo, primo nucleo di un sistema di difesa comune abbozzato anche nel Trattato del Quirinale firmato la settimana scorsa dai governi italiano e francese. Complesse strategie di politica internazionale e prospettive economiche e occupazionali locali si intrecciano dunque nello scenario spezzino. A livello locale si spera in un acquirente nazionale e di natura pubblica perchè naturalmente più indulgente in tema di gestione dei livelli occupazionali; una soluzione gradita anche a livello nazionale da molti partiti, preoccupati del mantenimento dell’identità italiana in un settore strategico come quello degli armamenti e in generale scottati dallo shopping straniero di eccellenze italiane verificatosi negli ultimi 20 anni.

Una nave uscita dagli stabilimenti di Fincantieri di Marghera
Una nave uscita dagli stabilimenti di Fincantieri di Marghera

Un identikit così tracciato coincide con quello di Fincantieri, gruppo statale controllato da Cassa Depositi e Prestiti, già presente a Spezia e in Liguria nella cantieristica navale e in espansione nel settore difesa. Più o meno esplicitamente si sono schierati per questa ipotesi l’intera politica spezzina – alla vigilia delle elezioni comunali di primavera – ma anche i sindacati, scesi in strada lo scorso 10 novembre appena ufficializzata l’intenzione di mettere in vendita la società, e gli spezzini al governo, cioè il ministro Pd Andrea Orlando e la sottosegretaria leghista alla Difesa Stefania Pucciarelli. Tuttavia non è scontato che Oto Melara passi da un gruppo statale ad un altro come in un gioco a somma zero. Interessati alla fabbrica di via Valdilocchi sono anche il gruppo franco-tedesco Knds e i tedeschi di Rheinmetall. Negli ultimi giorni si sono rincorse le voci di possibili alleanze tra alcuni di questi attori e di joint venture con la stessa Fincantieri. Si tratta di ipotesi che preoccupano perché potrebbero portare ad uno spacchettamento delle attività di Oto Melara, impegnata su due linee di mercato. La prima riguarda gli armamenti navali; il prodotto di maggiore successo di Oto Melara è un cannone navale venduto a 54 marine militari del mondo, a cui si affianca lo sviluppo tecnologico nei prodotti di artiglieria. La seconda è concentrata sulle commesse dell’Esercito Italiano, soddisfatte in consorzio con Iveco, un business ritenuto dagli analisti economicamente poco sostenibile per volumi di produzione e flussi di pagamento. L’ipotesi che le due linee, quella navale e quella terrestre, possano essere separate, determinando uno “spezzatino” condito da ridimensionamenti produttivi e delocalizzazioni, con i conseguenti risvolti occupazionali, è il timore che serpeggia a La Spezia, una città le cui sorti sono state così profondamente legate alle attività della Difesa da non essersi ancora lasciata alle spalle l’industria bellica per intraprendere nuovi percorsi di sviluppo. Prematuro dire come andrà a finire. La natura pubblica di Leonardo fa sì che l’ultima parola spetti al governo, che per bocca dei ministri Franco (Economia, azionista di maggioranza di Leonardo), Giorgetti (Sviluppo Economico) e Guerini (Difesa) ha comunicato salomonicamente che la vendita di Oto Melara dovrà conciliare “l’interesse nazionale” e “possibili intese a livello europeo”.

(Davide Tondani)