La teologia della liberazione; una fede interpretata a partire dalla storia degli oppressi

Cinquant’anni fa la pubblicazione del libro di Gustavo Gutiérrez che aprì una controversa disputa teologica e politica

Un incontro tra Papa Francesco e il teologo domenicano p. Gustavo Gutiérrez Merino che nel 1971 pubblicò “Teología de la liberacíon”

Nel 1971 viene pubblicato, inizialmente in edizione peruviana (la prima edizione italiana verrà edita l’anno successivo da Queriniana), Teología de la liberacíon di Gustavo Gutiérrez Merino, un teologo domenicano formatosi tra l’America Latina e l’università cattolica di Lovanio. Il contesto storico ed ecclesiale in cui matura la teologia della liberazione è quello in cui il blocco occidentale e quello sovietico si affrontano nelle periferie di un mondo uscito profondamente lacerato dalla Seconda Guerra Mondiale, mentre la Chiesa si appresta a vivere la primavera di un Concilio Vaticano II che vuole aprire un dialogo tra la Chiesa e una società profondamente trasformata. È in America Latina che le tensioni internazionali e il post-Concilio si incrociano in uno scenario ecclesiale e politico in cui operano teologi, preti rivoluzionari e vescovi visionari contemporaneamente a servizi segreti deviati, dittatori e milizie paramilitari. La nuova visione teologica muove i suoi primi passi nel novembre del 1965 quando a Roma, a pochi giorni dalla chiusura del Concilio, in una celebrazione nelle Catacombe di Domitilla, un gruppo di vescovi, perlopiù Sudamericani, si impegna a vivere in povertà rinunciando a simboli e privilegi mettendo i poveri al centro del loro ministero pastorale: un patto che ha un forte sviluppo durante la Conferenza Episcopale latino-americana aperta da Paolo VI a Medellin, nel 1968, in cui i vescovi dell’America del Sud pongono al centro della discussione teologica l’opzione preferenziale per i poveri su cui poi si fonderà la Teologia della liberazione.
La Conferenza di Medellin rappresenta una vera e proprio rivoluzione copernicana per la Chiesa. Lo spezzarsi del legame storico tra trono e altare apre all’ascolto delle grida degli oppressi che costituivano, ed ancora costituiscono, la stragrande maggioranza della popolazione del continente latino-americano. Il fermento teologico e sociale che ne consegue viene sistematizzato da Padre Gutiérrez, nel testo fondante della teologia della liberazione, frutto dei suoi studi teologici e dell’impegno come animatore presso le Comunità di base, in cui tocca con mano la sofferenza del popolo peruviano aiutandolo, con spirito di fede e con uno sguardo rivolto alla realtà sociale, ad analizzare, rivendicare e realizzare un miglioramento per la propria condizione di vita. La teologia della liberazione guarda a ciò – afferma il teologo domenicano – “intrepretando la fede a partire dalla prassi storica concreta, sovversiva e liberatrice, dei poveri di questo mondo, delle classi oppresse, dei gruppi etnici disprezzati, delle culture emarginate”.
La vicinanza, sul piano dottrinale, di questa tesi con la filosofia marxiana del materialismo si somma, sul piano politico, alla conseguente contrapposizione della teologia della liberazione alle dittature militari che, nell’America Latina di quegli anni, esercitano una oppressione brutale e sistematica. Le divergenze all’interno della Chiesa cattolica non tardano a manifestarsi.
Alla Conferenza Episcopale latino-americana di Puebla, nel febbraio 1979, la quasi totalità dei vescovi presenti appoggia le tesi di Gutiérrez, sottolineando la scelta comune dell’opzione preferenziale per i poveri, ma Giovanni Paolo II, eletto Papa nell’ottobre del 1978, nel suo intervento di apertura condanna senza mezzi termini la “concezione di Cristo come politico, rivoluzionario, come il sovversivo di Nazaret”, una tesi che “non si compagina con la catechesi della Chiesa”.
La volontà di Papa Wojtyla è quella di contrastare, in tutti i modi, l’influenza marxista sulla teologia della liberazione. Negli anni successivi il Cardinale Joseph Ratzinger, Prefetto della Congregazione per la Dottrina della fede, incaricato di esaminare l’ortodossia della Teologia della Liberazione, la condanna con due Istruzioni: per l’analisi marxista della società e la conseguente incompatibilità con il messaggio evangelico. Parallelamente la Congregazione processa e condanna le tesi di altri famosi teologi della liberazione, da Frei Betto a Padre Leonardo Boff. Se, da una parte, molti teologi della liberazione sposarono le tesi marxiste, fino ad affermare – come fece il nicaraguense Padre Ernesto Cardenal, che nel suo paese prese parte alla guerriglia a fianco dei sandinisti – che “Comunismo e Regno di Dio sulla terra sono la stessa cosa”, dall’altra la lotta ai regimi comunisti in Europa sacrificò in America Latina l’apostolato di molte suore, frati, preti e vescovi che, per la pace e la giustizia dei loro popoli oppressi, offrirono la loro stessa vita: lo testimoniano i travagli in vita e i tempi ritardati della canonizzazione del vescovo salvadoregno Oscar Romero, che teologo della liberazione non era, ucciso nel 1981 per la sua opposizione alla dittatura militare e riconosciuto martire in odium fidei solo nel 2015 da Francesco, che lo ha proclamato santo nel 2018.
Come afferma lo stesso Gutiérrez, il confronto teologico tra Roma e la teologia della liberazione fu distorto dai media che trasmisero la schematica semplificazione di una Curia impegnata a censurare qualunque nuovo orientamento teologico; al contempo, il contesto storico della contrapposizione tra comunismo e liberalismo impedì di comprendere quanto la teologia della liberazione realmente voleva esprimere: una lacuna che il pontificato di un Vescovo di Roma sudamericano sta aiutando, almeno in parte, a colmare.

Alessandro Conti
vicepresidente degli adulti dell’Azione Cattolica diocesana