Fëdor Dostoevskij, interprete profondo dell’animo umano

A duecento anni dalla nascita dello scrittore del “realismo impegnato”

Fëdor Dostoevskij (1821 – 1881)

Il 2021 è un anno di importanti anniversari, tra questi il secondo centenario della nascita di Fëdor Dostoevskij, nato a Mosca nel 1821. La vita e le opere del grande scrittore russo sono state segnate dal suo arresto nel 1849, in quanto membro di un circolo politico ispirato alle teorie del “riformatore sociale” Charles Fourier, che con Claude-Henri de Saint-Simon e a Pierre Joseph Proudhon, teorizzava il socialismo definito utopistico da Karl Marx. Condannato a morte, davanti al plotone d’esecuzione è stato graziato dallo zar Nicola I con la condanna commutata in quattro anni di lavori forzati in Siberia.
Tornato a San Pietroburgo si dedica alla letteratura pubblicando i suoi capolavori, fondando riviste e collaborando al settimanale Il cittadino. Gli scrittori russi dell’Ottocento rientrano nella categoria del “realismo impegnato” e si pongono l’obiettivo di cambiare la coscienza e la mentalità collettiva, denunciare l’inquietudine della contemporaneità, essere interpreti della necessità e del desiderio di realizzazione dei loro ideali anche rischiando in prima persona. È la reazione all’arretratezza e all’oppressione delle classi subalterne che caratterizzano la Russia zarista.
Dostoevskij rientra perfettamente in questo quadro considerando l’impegno un’esigenza vitale per lui. Già nella novella Povera gente, pubblicata nel 1846, e nelle sue prime opere i protagonisti sono degli emarginati sottomessi ad un sistema sociale privo di sensibilità ed egoista. La deportazione in Siberia è un’esperienza che ha cambiato radicalmente la sua visione sull’animo umano e sulle ideologie socialiste.
Questo mutamento è testimoniato dai suoi libri dove alla denuncia sociale si affianca la dichiarazione dell’inconsistenza e della vacuità dell’utopia troppo ottimistica della libertà proveniente dal progresso e dalle teorie materialiste. Queste non considerano la battaglia tra il bene e il male che si combatte nell’uomo, battaglia in cui il male esce sempre vincitore condizionando la libertà umana.
Il cambiamento di rotta è descritto per la prima volta nel romanzo Memorie dal sottosuolo in cui l’autore focalizza l’attenzione sulla rappresentazione reale della dialettica tra il male e la libertà, intesa quest’ultima come libertà dalla morale imposta dall’ordinamento sociale trasformandosi in “denuncia etica”. I problemi economici non sono più predominanti, anche se presenti nelle sue opere, poiché i nuovi temi sono “la morbosità, la perversione, il crimine”.
Dostoevskij nel suo pessimismo cerca comunque di intravvedere la possibilità di un’alternativa al male e alla sua perenne vittoria: consiste nella Verità, di cui egli vuole “farsi profeta” per contrastare la desolazione presentata dalla storia dell’uomo. La sua idea di Verità si intuisce nella sua ultima fatica I fratelli Karamazov in cui è accennata “una speranza di rivelazione”, che si sarebbe dovuta esplicitare in un romanzo successivo a cui Dostoevskij stava lavorando quando morì nel 1881. I personaggi di Dostoevskij sono delineati non tanto nei loro comportamenti, ma dalle loro teorie, che influenzano i loro atteggiamenti e sono “vissute con straordinaria intensità emotiva”.
Le grandi figure uscite dalla penna di Dostoevskij si distinguono per la capacità di trasformare le loro vicissitudini e le loro tribolazioni in idee o forse ideali. Sono stati definiti “eroi intellettuali” per il loro legame ad una particolare tematica e per la capacità di incarnare un aspetto della trama del libro. Potente è la resa tragica e la tensione drammatica dei personaggi dei tanti capolavori Delitto e castigo, L’idiota, I demoni, Le notti bianche.

Paola Bianchi