Nell’ottobre 1921 tenne un ciclo di conferenze sulla chiave di verifica della teoria della relatività generale

Albert Einstein (Ulm 1879 – Princeton 1955), il padre della fisica nucleare, che “mise un po’ in soffitta la fisica euclidea”, ha avuto legami particolari con l’Italia; da ragazzo visse anni, che disse tra i più felici della sua vita, a Pavia dove abitava la sua famiglia.
Dalla Germania, dove aveva cattedra universitaria a Berlino, mantenne contatti e collaborazione coi fisici italiani Gregorio Ricci Curbastro e Tullio Levi-Civita e con Federigo Enriques, matematico, filosofo e storico della scienza noto in tutto il mondo, di cui si è appena concluso a Torino un convegno a 150 anni dalla nascita. Per la rivista “Scientia” diretta da Enriques, Einstein nel 1914 aveva scritto un articolo e conosceva probabilmente il libro, tradotto anche in tedesco, “Problemi della scienza” del matematico italiano che personalmente lo invitò a tenere un ciclo di conferenze a Bologna e gli comunicò anche il desiderio vivissimo di un incontro personale “in una riposata conversazione”.
Einstein accettò con entusiasmo confidando di aver sempre ricordato l’Italia con nostalgia e comunicò che le lezioni le avrebbe fatte parlando italiano. La visita in Italia fu dal 17 al 28 ottobre 1921, prima si incontrò a Firenze dove viveva la sorella Maja, arrivò a Bologna il 21 ottobre scendendo dal treno da una carrozza di terza classe. Adriana, la figlia di Enriques, che fu incaricata di accoglierlo alla stazione, annotò che “l’impronta del genio sembrava scritta sulla sua fronte”: aspetto imponente, cappello nero d’artista a larghe falde, capelli lunghi fino a coprire le orecchie.
La presenza in Italia (compresa la breve visita a Padova) ebbe grande eco sulla stampa. Il fisico nato a Ulm aveva acquisito fama straordinaria da poco tempo, quando nel 1920 dimostrò l’incurvamento dei raggi di luce per effetto della gravità: era la prova principale del fondamento scientifico della teoria della relatività generale, che destò enorme interesse anche nei non addetti ai lavori.
Erano tempi inquieti e violenti, di trasformazioni forti e improvvise, la teoria della relatività generale fu interpretata in chiave psicologica come un invito a liberarsi dalle sofferenze portate dalla guerra e a “volare alto” sopra il caos della cruda realtà quotidiana”: è una specie di miracolo che in tempi di crisi gravi spesso avvengono grandi innovazioni e nuovi modi di sentirsi nella vita. Einstein, così concreto come esigevano i suoi studi, non escludeva il piacevole senso del mistero e dell’infinito, come un poeta, amava la musica e per il violino ebbe una vera passione, raffinato era il suo gusto per l’arte, ma nel nostro immaginario collettivo lo riconosciamo come uno rimasto ragazzino curioso con i capelli ricciuti e la sbarazzina lingua in fuori.
(m.l.s.)