Il Cristo Nero in San Nicolò: storia di una devozione amata

La conferenza nell’antica parrocchia di Pontremoli

Dopo aver toccato le chiese di S. Cristina (Madonna dell’Aiuto), di S. Pietro e di S. Giacomo d’Altopascio (Madonna del Soccorso), il Santuario della SS. Annunziata, i “Percorsi dello Spirito”, iniziativa comunale e diocesana organizzata in preparazione dei 400 anni del Voto alla Madonna del Popolo, hanno fatto “tappa” alla chiesa di San Nicolò in occasione della festa del “Cristo Nero”, un tempo detta popolarmente “del Moretto”. Questi due titoli, cari ai Pontremolesi, esprimono l’attaccamento al “SS. Crocifisso” di S. Nicolò, una devozione che incarna in loco la devozione universale verso il Crocifisso esposta da don Pietro Pratolongo partendo dalle immagini più antiche della semplice croce fino a quelle medievali del Cristo “triumphans” e “patiens”.
Le pietre della Vicinia di San Nicolò, il “Vaticano”, custodiscono una “pia tradizione” che si è ripetuta oralmente fino a quando, nel 1945, in occasione delle grandi feste indette per “riconoscenza” e “gratitudine” al “Ven. Crocifisso” per la protezione ricevuta durante il periodo bellico, Nicola Zucchi Castellini la mise per iscritto e venne stampata sulle pagine de “Il Corriere Apuano”: “Nessuna notizia scritta abbiamo di quando venne a Pontremoli l’immagine del Santo Crocifisso venerata nella chiesa parrocchiale di S. Nicolò. Rimase invece sempre viva tra la gente della parrocchia una pia tradizione. La Liberata, una buona donna che aveva la sua casa nel «solchetto», ospitò una sera un pellegrino presentatosi a lei con pesante fardello sulle spalle. Il pellegrino passò la notte nella casa ospitale ed il mattino seguente se ne partì di buon’ora prima che alcuno avesse potuto rivederlo. Dopo quella notte per più notti successive fu notato che dal tetto della casa della Liberata usciva una luce misteriosa. Sino a che per conoscere la causa di quella luce alcuni uomini salirono nella soffitta della casa stessa. Là rinvennero il sacco che portava il pellegrino e nel sacco un Crocefisso: il Crocefisso fu portato nella vicina chiesa di San Nicolò; ancora vi si venera”.
La prima notizia di una devozione alla “Santa Croce” nella chiesa di San Nicolò risale al 1532 quando Claretta “Leonardi”, vedova di Antonio “de Aureficibus”, disponeva un lascito “ad altare S.tae Crucis”. Cinquant’anni dopo, nel 1584, viene registrata la presenza di questo altare nella visita apostolica di mons. Angelo Peruzzi. Era di giuspatronato delle famiglie “de Pinellis de Horificibus” e “de Pinellis” e sopra di esso era custodita un’“icona satis pulchra”, l’immagine del Crocifisso. I patroni dell’altare erano tenuti a farvi celebrare la messa due volte il mese e la festa dell’Esaltazione della Croce (14 settembre). All’inizio del XVII secolo i documenti ci attestano che si era sviluppata una grande venerazione verso l’immagine del “S.mo Crucifixo Sancti Nicolai”, testimoniata dai tanti ex voto appesi intorno ad essa e da vari lasciti testamentari.
Questa devozione era gestita da appositi Massari eletti dalla Vicinia. Contribuì ad alimentare questa devozione don Camillo Coppini, rettore della parrocchia, che non solo eresse un nuovo altare in una zona più appropriata di quella originaria, ma creò anche un reddito per garantirvi la celebrazione di una messa quotidiana. Il 5 dicembre 1645 il vescovo mons. Prospero Spinola autorizzò la benedizione del nuovo altare fatto realizzare, “per maggior decenza”, in un nuovo sito dal rettore don Baldassare Zambeccari.
La nuova collocazione è quella dove oggi è custodita la Madonna addolorata. Qui il “Cristo Nero” rimase fino alla metà del XIX secolo allorché venne posto nell’elegante tempietto al di sopra dell’altare maggiore. Nel 1672 era in costruzione l’ornamento in marmo dell’altare di cui è significativo il cartiglio, posto ancora oggi sopra la statua della Madonna addolorata, in cui è riportata una frase appropriata per il Crocifisso: “Reverte quia redemi te” (“ritorna, cioè convertiti, perché ti ho redento”).
Nel 1704 la storia del “Cristo Nero” si lega a quella della “Compagnia dei Sarti”. Infatti gli “uomini” della Vicinia di S. Nicolò concessero ai “Sarti di Pontremoli” la licenza di erigere all’altare del SS. Crocifisso una Compagnia sotto il titolo di S. Omobono, patrono dei Sarti, e di potervi celebrare la loro festa. Ciò non avrebbe tolto alla Vicinia il pieno diritto sull’altare e sull’immagine del Crocifisso. La gestione della devozione al Crocifisso rimaneva nelle mani dei massari nominati dai parrocchiani.
Nell’Ottocento, in base alla normativa allora vigente, veniva annualmente autorizzata dall’autorità civile la questua “per tridui che si fanno nel corso dell’anno in onore della Miracolosa Immagine del SS. Crocifisso, e per altri bisogni della Chiesa”. Tra le varie autorizzazioni si trova quella del 1853 rilasciata ad “Antonio Bertoli, e Giuseppe Bertoli, sarti domiciliati a S. Nicolò di Pontremoli, e il primo anche inserviente in detta chiesa”, fatto che attesta che l’antica devozione al SS. Crocifisso era diventata una devozione anche dei sarti sebbene i “custodi” di essa continuassero, come continuano ad essere oggi, i parrocchiani di S. Nicolò.

Paolo Lapi