“Ei fu”: moriva Napoleone. Era il  5 maggio 1821

Rileggendo l’ode di Alessandro Manzoni a due secoli dalla morte di Napoleone . Fu vera gloria? L’autore sembra sottrarsi alla risposta e lascia ai posteri e alla storia il verdetto

Chi fu è Napoleone, scomparso prigioniero degli inglesi nella torrida isoletta di Sant’Elena nell’Atlantico meridionale il 5 maggio 1821. La notizia fu data con due mesi di ritardo in Europa. Lo stesso Manzoni racconta che, quando la lesse sul giornale, fu preso da “subitaneo furore poetico” e in soli tre giorni (18-21 luglio) compose l’ode “Il 5 maggio”, la corresse e la divulgò sfuggendo alla censura austriaca, particolarmente vigile dopo la repressione dei primi moti carbonari, tema dell’altra ode civile “Marzo 1821”.
L’evento della morte è tutto dentro la potenza di quell’esordio “Ei fu”: quattro lettere per dire che chi diede il suo nome ad un’epoca è sparito lasciando sbigottite e mute le persone in similitudine con il corpo irrigidito privato di così grande anima. Napoleone, uomo fatale venuto a calpestare la polvere insanguinata della terra, chissà quando avrà uno simile a lui nella storia. Manzoni è un contemporaneo, al Te Deum di ringraziamento per la vittoria di Austerlitz nel 1805 gli era apparso verde di superbia, su di lui in vita non scrisse mai lodi adulatorie nello splendore della gloria, né vile oltraggio quando “cadde, risorse e giacque”, il climax (scala) dei tre verbi rende con estrema efficacia il richiamo alla sconfitta di Lipsia nel 1813 e il confinamento all’isola d’Elba, da cui seppe risorgere e tornare al trono, ma, piegato a Waterloo, definitivo fu il giacere.
La commozione spinge il poeta a scrivere un’ode, che forse gli darà fama, richiama la grandezza militare di Napoleone nell’ampio scenario geografico delle tante vittorie dalle campagne d’Italia all’Egitto, dalla Spagna alla Germania, dallo stretto di Messina al Don, da un mare all’altro. Era tanto sicuro di sé che concepiva un piano strategico e subito lo eseguiva con la stessa rapidità del tuono che segue il balenar di un fulmine.
Fu vera gloria? Manzoni sembra sottrarsi alla risposta, lascia ai posteri, alla storia un giudizio equilibrato sulla grandezza di Napoleone. Comunque, è oggettivo il ruolo straordinario esercitato nel suo tempo storico e Dio ha voluto in lui mettere il suo sigillo di potenza più che in tutti gli altri contemporanei. La musa manzoniana ha a cuore particolarmente “l’ora estrema” dei grandi della terra precipitati dai troni (così è anche per Ermengarda e per Adelchi), li fa comuni agli altri mortali e anche al “disonor del Golgota” che liberamente scelse di morire coronato di spine.

Ei fu. Siccome immobile, dato il mortal sospiro, stette la spoglia immemore orba di tanto spiro, così percossa, attonita la terra al nunzio sta, muta pensando all’ultima ora dell’uom fatale; né sa quando una simile orma di piè mortale la sua cruenta polvere a calpestar verrà

Tutto provò Napoleone: la gioia tormentosa di concepire grandi progetti, l’impazienza di obbedire agli ordini di altri quando già pensava di impadronirsi del potere, e lo raggiunse in misura superiore ad ogni aspettativa, diede nome alla sua età, fu mediatore fra due culture fra loro contrapposte, fra antico e nuovo regime. E sparve. Nelle giornate oziose a Sant’Elena, per lui che era stato un fulmine di azioni, amato con fedeltà, odiato senza tregua dai nemici, diventa distruttivo, disperante il ricordo “dei dì che furon”, pesa come l’onda sulla testa del naufrago, non riesce a fermarlo in una memoria scritta.
Nell’ora crepuscolare della nostalgia si rifaceva viva l’esperienza movimentata dei campi di battaglia, l’onda dei cavalli e dei manipoli di soldati, l’obbedienza immediata agli ordini frettolosi. E disperò. Non resse allo strazio dei ricordi, “ma valida venne una man dal cielo”.
La congiunzione avversativa “ma” capovolge la disperazione in provvidenziale dolore che salva. La potente mano di Dio gli infonde desiderio e speranza di cose eterne dando pace e liberazione dall’assillo della gloria terrena. Muore alla presenza di Dio un uomo che fu superbo più di ogni altro. Sullo spoglio materasso del letto di morte accanto a lui si posò Dio che “atterra e uscita, che affanna e che consola”: e questa fu la vera gloria di Napoleone nella riflessione del Manzoni alla sua morte, ed è riflessione religiosa.
Napoleone visto da Tolstoj nel romanzo “Guerra pace” “Di fronte al terribile campo coperto di cadaveri nella battaglia d Borodino Napoleone vide abbattuta quella forza d’animo in cui vedeva il suo merito e grandezza: giallo, enfiato, pesante, con gli occhi torbidi, il naso rosso e la voce arrochita”.
Un sentimento personale ed umano per un istante lo fece consapevole di quell’artificiosa parvenza di vita che a lungo aveva cercato. Non desiderava per sé né Mosca, né la vittoria, né gloria, ora solo riposo, calma, libertà. Delle sue azioni, troppo lontane da tutto l’umano, non poté cogliere il senso, “predestinato dalla Provvidenza alla triste e non libera parte di carnefice dei popoli”, convinto invece di poter reggere le sorti di milioni di uomini e di compiere benefici con la sua potenza.

(Maria Luisa Simoncelli)