
Il tempo, la terra e il lavoro. La mostra nel Battistero di Parma è un’occasione da non perdere. Quattordici sculture realizzate nei primi anni del Duecento dall’artista arrivato dal Nord. L’iniziativa è della Diocesi per “Parma capitale italiana della Cultura”.

Si entra nel Battistero di Parma a piccoli gruppi, in silenzio. La città resta fuori, la percezione del tempo cambia. Le architetture si colorano degli affreschi e lo sguardo sale alla grande volta che racchiude lo spazio. Ma è solo un attimo: i Mesi sono lì, come scesi da un Olimpo tutto loro, lassù, troppo in alto per poterne ammirare la struggente bellezza. Il ciclo scolpito da Benedetto Antelami (1150 circa – 1230 circa) in mostra a portata di sguardo è un “regalo” della Diocesi di Parma, un dono da non perdere, a trent’anni dall’ultima volta che questa possibilità ci era stata offerta. Era il 1990 quando nella città ducale, negli spazi della Pilotta, venne allestita la mostra sul genio dell’artista venuto dalle Alpi per portare il bello nel medioevo padano.

Chi ricorda quell’esposizione troverà ancora più emozionante quella attuale, dove le sculture si abbassano alla nostra altezza e lo fanno nella loro casa, quel Battistero per il quale probabilmente erano state pensate. Non sappiamo quale fosse la collocazione alla quale Antelami li aveva destinati: il grande artista, infatti, non visse abbastanza per terminare il Battistero. A noi basta ammirarli in tutta la forza di gesti e di sguardi senza fine, che si ripetono da otto secoli, arrivati a noi sfidando il tempo e il nostro impegno alla distruzione. Una vittoria del bello sulla rovina, un dono prezioso che deve suscitare emozioni e riflessioni.

Perché “Il lavoro dell’uomo, il tempo della terra” – questo il titolo della mostra – non è solo la rappresentazione delle stagioni scandita dai mesi che scorrono inesorabili, ma appare come una vera e propria eredità culturale. Al centro è il lavoro dell’uomo e il suo rapporto con la terra; la visione di Antelami non è drammatica, il lavoro non è sofferenza, le figure sono quasi nobili, ben vestite e calzate.

Come ha sottolineato il vescovo di Parma, mons. Enrico Solmi, inaugurando la mostra, “le immagini sono realistiche, non drammatiche, in un contesto – un ecosistema diremmo oggi – rispettato. Si può leggere questo rispetto nella cura dei particolari: chi lavora è segnato dal tempo, ma è vestito in modo preciso e nobile. Un contesto nel quale la terra è amica perché è amata e rispettata”. I mesi narrano il lavoro, ma non c’è dramma, né fatica, né sofferenza; non c’è il segno della maledizione del lavoro, ma c’è “il senso del collaborare, del coltivare: è un lavoro redento come è redenta tutta l’umanità”.

A dominare le figure e l’insieme che esse formano è l’armonia, quella stessa che si afferma tra il tempo e il lavoro nel coltivare il Creato. Quattordici altorilievi di pietra, 12 mesi e 2 stagioni, che Benedetto Antelami ha scolpito tra il 1210 e il 1215. Il viaggio nella mostra inizia nel Museo Diocesano dove ci si confronta con altre sculture dell’Antelami, su tutte la Regina di Saba e Re Salomone; si passa poi nella Cattedrale per osservare la Deposizione (1178) e si accede, infine, al Battistero.

Prima le due stagioni, Primavera-Estate e Autunno-Inverno, poi il ciclo dei mesi; il primo è Marzo, come nel calendario Romano. Per ciascuno un lavoro o un atteggiamento; alcuni anche con la raffigurazione del segno zodiacale: se Marzo suona il corno, Aprile indossa una corona e regge un fiore; Maggio arriva a cavallo con in mano la falce; Giugno miete il grano e Luglio lo batte con i cavalli sull’aia; Agosto prepara la botte e Settembre vendemmia; Ottobre semina, mentre Novembre trae le rape dalla terra; Dicembre taglia la legna, forse pota; Gennaio è seduto, assorto, con due volti: uno ripensa all’anno passato, l’altro guarda all’anno nuovo. Infine Febbraio vanga, preparando una nuova stagione di raccolti.
Il tempo corre, i mesi passano. Quelli di Antelami restano, con il loro messaggio. Esempi di quella bellezza che forse non salverà il mondo, ma potrebbe renderlo migliore.
(Paolo Bissoli)