L’incendio di Notre Dame e quello di altre cattedrali nel corso dei secoli
Il Medioevo è il mondo del legno: lo scriveva già nel 1964 Jacques Le Goff in una delle sue opere più note, La civiltà dell’Occidente medievale, ma noi abitatori dell’Occidente di oggi sembriamo ignorarlo o dimenticarlo sempre più spesso o, ancora, trascurarlo del tutto.
Episodi come l’incendio nella cattedrale di Notre Dame a Parigi ce lo ricordano in modo inaspettato e drammatico: solo gli studi e le indagini in corso potranno stabilire se e quanto sia stata, appunto, trascurata la formidabile presenza di legno in uno degli edifici più famosi e visitati al mondo.
Che a sostenere quel tetto ci fosse un intricato sistema di alberi trasformati in travi e travetti soprannominato “la foresta” era noto; ma, evidentemente, si pensava che quel legno fosse resistente ai pericoli o agli incidenti, compreso il fuoco, come aveva resistito al tempo visto che quei 1.300 alberi di quercia per otto secoli avevano sostenuto la copertura. Un patrimonio distrutto in meno di un’ora e difficilmente riproponibile.
Tra ponti in cemento armato che crollano dopo pochi decenni e cattedrali millenarie a fuoco rischiamo di perdere molte certezze: in entrambi i casi ci abbiamo certo messo del nostro.
Come del loro, del resto, avevano messo gli uomini del Medioevo e del “mondo del legno” quando, ad un certo punto e per uno sfruttamento eccessivo e incontrollato, la materia prima cominciò a scarseggiare: troppa era la richiesta nell’edilizia come nella cantieristica.
Foreste di alberi secolari abbattute senza che il legno nuovo potesse arrivare a maturazione. Così, proprio a partire dal XIII secolo, negli stessi anni nei quali era stata messa in opera “la foresta” di Notre Dame, si iniziò a proteggere le aree boschive dell’Europa occidentale e, sempre in quel periodo, cominciò l’utilizzo del carbone per il riscaldamento, fattore che contribuì ad alleggerire la pressione umana sui boschi. Quanto fosse ormai prezioso il legno lo testimonia il racconto di Suger (Sugerio), abate di Saint Denis nel XII secolo impegnato per giorni e giorni a battere le foreste attorno a Parigi per trovare dodici alberi di alto fusto dai quali poter ricavare le lunghe travi per il tetto della chiesa: per l’abate l’averli alla fine trovati equivale quasi ad un miracolo!
Per avere un’idea del numero dei cantieri aperti in quei secoli basta ricordare che soltanto i monaci di Cluny costruirono in Europa almeno millequattrocento tra chiese e conventi!
Ed è proprio l’abate di Cluny Saint Odilon a mostrarci il periodo del cambiamento: “Ho trovato un’abbazia di legno e la lascio di marmo” ebbe a dire nel 1048 dopo aver fatto ampio uso di pietra e di marmi antichi in una delle numerose ristrutturazioni dell’abbazia.
Ma se la pietra, con il riuso di quella proveniente dalla spoliazione degli antichi edifici romani o con l’apertura di nuove cave, iniziava a ritagliarsi uno spazio sempre maggiore nei cantieri più importanti dell’edilizia medievale, non vi è alcun dubbio che il legno restava protagonista assoluto.
E con esso anche il fuoco. L’incendio che, come testimonia l’antica lapide ancora murata all’imboccatura meridionale dell’attuale via Garibaldi, dal 27 luglio 1495 in tre giorni distrusse gran parte del borgo di Pontremoli è solo l’esempio a noi più noto, così come l’incendio di Notre Dame è quello più recente e vivo nella nostra memoria.
Ma tra legno e fuoco è in corso da millenni una lotta che sembra destinata a continuare. Senza scomodare né Roma né Nerone, vale la pena ricordare l’incendio di un’altra cattedrale di Notre Dame, quella di Chartres, completamente distrutta dal fuoco nel 1194: per ricostruirla servirono sessant’anni, ma alla fine venne realizzato quell’autentico capolavoro che ancora oggi possiamo ammirare non troppo lontano da Parigi.
E ancora in Francia pochi anni dopo toccò alla cattedrale di Reims ad essere completamente distrutta da un incendio che si propagò a tutto l’abitato: era il 1210; l’anno successivo iniziò la costruzione della nuova cattedrale che, sette secoli dopo, venne gravemente danneggiata dai cannoneggiamenti tedeschi del 1914: andarono distrutti il tetto, le volte e le vetrate.
Non solo incendi accidentali dunque: la storia è purtroppo ricca di episodi che testimoniano la distruzione delle cattedrali dal fuoco appiccato o provocato dall’uomo. Uno dei più antichi che si conoscano è quello di Rouen: la città della Normandia era allora un borgo esposto alle invasioni dei popoli del nord e nell’841 furono i Vichinghi ad appiccare il fuoco all’abitato e nel rogo venne distrutta anche la prima cattedrale, ricostruita poi a partire dal secolo successivo.
I casi più recenti sono invece quelli relativi ai bombardamenti della seconda guerra mondiale: quelli tedeschi su Francia e, soprattutto, Inghilterra e quelli alleati sull’Italia e la Germania.
Le bombe colpirono ben quattordici volte la cattedrale di Colonia che tuttavia, pur divorata dalle fiamme, rimase in piedi e poté essere ricostruita già nel decennio successivo. Dresda dovette attendere ben più a lungo per tornare ad avere la sua cattedrale luterana: quella originale del XVIII secolo era crollata a seguito dei bombardamenti sulla città del 1945 e quella nuova è stata inaugurata esattamente sessant’anni dopo, nel 2005.
Una distruzione così ampia quella subìta dalla Germania nei suoi monumenti più antichi che per la ricostruzione e i restauri venne chiamata forza lavoro da tutta Europa. Tra artigiani e operai emigrati dall’Italia per mettere a disposizione la propria abilità di scalpellino mi piace ricordare il fivizzanese Italo Bondi di Collegnago: fu lui stesso a raccontarmi, con una punta di comprensibile orgoglio, come in Germania fosse stato occupato nella lavorazione delle pietre per “restaurare le cattedrali”!
Se in epoca contemporanea il recente incendio di Parigi non ha eguali per l’ampiezza della superficie interessata nel monumento, per la gravità di quanto accaduto, ha invece vari confronti. Due su tutti: in Inghilterra nel 1984 parte del tetto della cattedrale anglicana di York venne distrutto e servirono quattro anni per la ricostruzione; ancora più noto l’incendio nella cappella del Guarini nel duomo di Torino dove si conserva la Sacra Sindone: era il 1997 e la cappella è stata riaperta al pubblico solo l’anno scorso dopo ventuno anni.
Paolo Bissoli