Assemblea Generale della CEI. La formazione liturgica è un percorso che non ha mai fine
“L’Assemblea Generale ha approvato la traduzione italiana della terza edizione del Messale Romano, a conclusione di un percorso durato oltre 16 anni. In tale arco di tempo, Vescovi ed esperti hanno lavorato al miglioramento del testo sotto il profilo teologico, pastorale e stilistico, nonché alla messa a punto della Presentazione del Messale, che aiuterà non solo a una sua proficua recezione, ma anche a sostenere la pastorale liturgica nel suo insieme”.
Con queste parole, il comunicato finale della Plenaria della CEI, svoltasi dal 12 al 15 novembre, annuncia l’approvazione del Messale. I vescovi non hanno neppure fatto in tempo a concludere l’assise che già le polemiche impazzavano sui social.
Credo non si possa criticare un documento che ancora non abbiamo tra le mani e neppure effettuare un’operazione di verifica di che cosa il Messale ci metterà tra le mani e sulle labbra per la preghiera. Ma vorrei condividere alcune note che chiamerei “a margine del Messale”. Nel comunicato sono due le affermazioni che mi colpiscono e che credo siano da leggere come sfondo nel quale inserire la nuova edizione del Messale Romano. La prima afferma la “necessità di un grande impegno formativo”, la seconda, invece, attesta che “la liturgia… richiede un’arte celebrativa”.
Spesso, oserei dire ad ogni piè sospinto, si parla di formazione liturgica (non apro qua la discussione se sia meglio parlare di iniziazione piuttosto che di formazione), ma guardiamoci intorno, guardiamo alla nostra diocesi, alle nostre parrocchie e domandiamoci, con onestà intellettuale, quanto spazio dedichiamo alla formazione liturgica del clero e degli operatori pastorali.
Quando parli ai sacerdoti di liturgia, la risposta immediata che ottieni può essere così sintetizzata: “è tutta la vita che dico messa, non vorrai mica insegnarmi come si fa?”. Mentre ai laici abbiamo insegnato che ci sono cose con più sostanza rispetto all’esteriorità dei riti. La formazione liturgica è un percorso che non ha mai fine, la comunità cristiana chiamata a celebrare i sacramenti non può ignorare il linguaggio dei riti, le dinamiche che li fanno essere; i segni che vengono compiuti nella liturgia non possono essere estemporanei e avulsi dal contesto celebrativo.“Dimmi come celebri e ti dirò qual è la tua fede”, si potrebbe dire, per questo è fondamentale non essere degli improvvisatori liturgici, ma persone che entrano nella dinamica liturgica con la stessa curiosità e la stessa consapevolezza di Mosè davanti al Roveto Ardente. La seconda affermazione del comunicato è quella di possedere un’arte celebrativa.
Quando si parla di arte di celebrare è necessario chiarire subito che non si intende il possedere nozioni di “galateo liturgico” (che male non sarebbe), ma è l’invito a riscoprire la forza prorompente della liturgia celebrata secondo tutte le sue dimensioni.
Scrive Papa Benedetto XVI in Sacramentum Caritatis: “il primo modo con cui si favorisce la partecipazione del Popolo di Dio al Rito sacro è la celebrazione adeguata del Rito stesso. L’ars celebrandi è la migliore condizione per l’actuosaparticipatio. L’ars celebrandi scaturisce dall’obbedienza fedele alle norme liturgiche nella loro completezza, poiché è proprio questo modo di celebrare ad assicurare da duemila anni la vita di fede di tutti i credenti, i quali sono chiamati a vivere la celebrazione in quanto Popolo di Dio, sacerdozio regale, nazione santa (cfr 1 Pt 2,4-5.9)”. Non sarà che la nostra ricerca dell’arte di celebrare si arresti proprio davanti alla parola obbedienza? Parafrasando una celebre affermazione del teologo Balthasar possiamo dire che: “la liturgia è sinfonica”, essa tiene insieme i molteplici strumenti che suonano in accordo.
Compito di chi celebra è quello di non perdere l’unità nella diversità delle esecuzioni. Ecco che il Messale allora si presenta come una partitura che va eseguita sia nel rispetto della mens dell’autore (la Chiesa), senza escludere che la singola comunità celebrante esprima il proprio sentimento e la propria sensibilità.
Credo che, se queste due indicazioni che i vescovi ci consegnano al termine del lungo cammino di revisione del Messale, saranno prese in seria considerazione, sarà più facile accogliere i cambiamenti che sono stati fatti e allo stesso tempo le comunità saranno sempre più pronte a celebrare ricercando la “nobile bellezza” tanto auspicata da Sacrosanctum Concilium.
Don Samuele Agnesini
Direttore dell’Ufficio Liturgico Diocesano