
La crisi negli anni del boom economico. Il confronto con Sarzana: negli anni ’50 aveva circa gli stessi abitanti, oggi il rapporto è di 1 a 3.


Niente da fare, il calo della popolazione a Pontremoli non si ferma: al 31 dicembre scorso i residenti erano 7.193, un centinaio in meno rispetto all’anno precedente. È dunque probabile che il prossimo censimento (quello del 2021) sancisca la discesa sotto i settemila abitanti. Ma se questa è la fotografia al 31 dicembre scorso, l’inizio della decrescita demografica nel Comune arriva da lontano: i residenti avevano toccato il massimo di 16.552 nel 1921, assestandosi poi nell’immediata vigilia della seconda guerra mondiale a poco meno di 15mila. Un dato confermato dal primo censimento dopo il conflitto quando i residenti erano 14.788: da allora il calo è stato repentino e inarrestabile. È interessante vedere che cosa sia accaduto altrove e la comunità simile più vicina è quella di Sarzana che, sempre nel 1951, contava 16.101 residenti (ma nel 1931 ne aveva 13.295 contro i 14.754 di Pontremoli!). Ed è proprio a partire da quegli anni che l’allargamento della forbice tra le due comunità si fa sempre più ampio fino al dato rilevato dall’Istat a fine 2016: 7.284 residenti contro 22.104 a favore di Sarzana, che oggi può dunque vantare il triplo della popolazione. Si dirà che le condizioni socio-economiche sono diverse, la posizione baricentrica tra l’area spezzina e quella apuana favorisce Sarzana… ed è certamente così.

Tuttavia lo sviluppo di una e il decremento dell’altra iniziano quando le economie di entrambe si basavano ancora in gran parte sull’agricoltura e il pendolarismo. Anni nei quali Sarzana ha saputo sfruttare il vento del boom economico che stava iniziando a soffiare in Italia, mentre Pontremoli non è riuscita a farlo. Così, nel 1971, la differenza a vantaggio di Sarzana era di 8mila persone. Questo perché tra il ‘51 e il ‘71 a Pontremoli “scompaiono” 4mila persone; negli anni del grande sviluppo urbanistico, quando palazzine e grandi condomini conquistano la piana di Verdeno, la città perde il 27% della popolazione! Lo sviluppo è dunque effimero, non c’è aumento di popolazione ma solo ricerca di spazi nuovi e diversi: così il centro storico inizia a svuotarsi e le frazioni a spopolarsi.

Sono gli anni dei cantieri per la costruzione dell’autostrada, ma anche quelli che culmineranno nella crisi della Cementi. E c’è un nuovo, grande, flusso migratorio in uscita: finita la guerra si riparte. La storia dell’emigrazione pontremolese è antica, ma pochi avrebbero previsto una nuova ondata proprio negli anni dello sviluppo economico. Le destinazioni sono le solite: Svizzera, Francia, Inghilterra e anche le Americhe, ma c’è soprattutto un’emigrazione di massa verso le aree urbane dell’asse Milano-Torino dove spesso si trova lavoro grazie all’aiuto di altri pontremolesi che si sono da tempo affermati. Così invece di sfruttare il boom economico importando occasioni di lavoro, Pontremoli esporta lavoratori, che quasi sempre si trasferiscono con tutta la famiglia o che questa se la creano lontano dalla loro terra natale. Basta scorrere le pagine del Corriere Apuano di quegli anni per capire il clima che si respirava e per cogliere il disagio di una realtà che non vedeva di buon occhio l’insediamento di attività produttive: “se i pontremolesi vogliono lavorare in fabbrica vadano a farlo a Milano” si sentiva dire ancora negli anni Settanta, alla vigilia della chiusura definitiva del cementificio. Così anche quelle rare attività imprenditoriali che chiedono di insediarsi nel territorio vengono “deviate” altrove: è il caso dell’OMA che alla fine trova ospitalità a Groppoli. Se poi si volesse confrontare la situazione pontremolese con quella della vicina Borgotaro si troverebbero alcune analogie (la crisi e lo spopolamento nello stesso ventennio 1951-1971) ma anche molte differenze, a cominciare da quel rallentamento della diminuzione dei residenti che Borgotaro ha registrato negli ultimi vent’anni e che invece Pontremoli non ha visto. Anzi, oltre Appennino c’è una timida inversione di tendenza.
Paolo Bissoli