Fu figlia della prima guerra mondiale nel quarto anno di combattimenti, ma le premesse partivano almeno da qualche decennio
Prima di tutto a scatenare la rivoluzione russa del 1917 fu lo slancio per realizzare una società nuova e un uomo nuovo teso a superare l’individualismo borghese e far finire nel mondo le guerre imperialiste del capitalismo. La rivoluzione si voleva proporre come un evento internazionale, il più influente dopo la rivoluzione francese del 1789, destinato a incidere su tutta la storia del XX secolo, “il secolo breve” computato dallo storico Eric J. Hobsbawm dal 1914 fino alla scomparsa dell’Unione Sovietica nel 1991. La rivoluzione fu figlia della I guerra mondiale nel quarto anno di combattimenti, ma le premesse partivano almeno da qualche decennio.
Lo zar Nicola II Romanov continuava a connotarsi autocratico senza bisogno di ministri e consiglieri, in contrasto pertanto con l’aristocrazia e sempre più col proletariato operaio che sarà organizzato nei comitati di fabbrica (soviet) in poche zone urbane, dove dal 1890 un nucleo di imprenditori aveva concentrato attività industriali di rilievo in un paese soprattutto di contadini poveri e servi. La denuncia contro lo sfruttamento operaio e contadino veniva anche dalla cultura politica del socialismo e dalla letteratura dei grandi scrittori russi dell’Ottocento.
Le riforme del 1905 non risolvono i problemi, scoppia l’insurrezione repressa nel sangue. Lo zar non capisce l’esigenza di costituire una monarchia costituzionale, porta la Russia in guerra senza avere un paese compatto, condizione necessaria nelle guerre moderne. Gli scioperi a Pietroburgo del febbraio 1917 vedono i soldati solidali, si rifiutano di sparare contro gli insorti: è la prima rivoluzione, si forma un governo provvisorio con aristocratici, borghesi e l’unico socialrivoluzionario Kerenskij, lo zar abdica.
Si va accentuando il contrasto tra due poteri: dei soviet operai e militari e quello della borghesia. Ma i socialisti erano divisi tra menscevichi poco coesi e bolscevichi organizzati senza correnti di cui si fa leader Lenin, rientrato dall’esilio svizzero con l’aiuto strategico dei tedeschi. Le sue tesi di aprile accelerano la svolta decisiva, vogliono il ritiro immediato dalla guerra, integrale riforma agraria, controllo degli operai sulla produzione industriale, eliminazione del peso burocratico e poliziesco. Sempre più insofferenti contro i socialisti moderati, i bolscevichi nella notte del 24 ottobre prendono il controllo di Pietroburgo, i ministri del governo provvisorio arrestati, Kerenskij fugge e spera di ammassare truppe fedeli alla sua linea.
Si forma il governo rivoluzionario socialista, capo è Lenin, ministri dal futuro significativo sono Trockij e Stalin. La Russia esce dalla guerra con una resa svantaggiosa, è data la terra ai contadini con esproprio della proprietà senza indennizzi, sovvertito tutto l’apparato statale, istituiti i tribunali del popolo, fucilato lo zar con tutta la famiglia, separata la Chiesa dallo Stato, la donna parificata all’uomo sotto ogni aspetto, nazionalizzate le imprese industriali e bancarie, controllo e censura sulla cultura e la stampa. Sono atti estremi che scatenano una guerra civile tra i Bianchi sostenuti anche da forze straniere e i bolscevichi che scatenano il “terrore rosso” combattuto con le armi e con una polizia speciale (Ceka) e dal 1920 hanno in mano tutto il potere, sopprimono tutte le altre correnti politiche.
La situazione economica è disastrosa e porta al razionamento dei consumi del “comunismo di guerra”, il lavoro viene militarizzato, si fanno perquisizioni forzate nelle campagne. É nato un regime totalitario. Fra guerre, carestia, fame e freddo si calcolano circa 28 milioni di morti. Si manifesta una forte delusione delle masse rispetto alle speranze suscitate di democrazia diretta; per recuperare consenso si tenta una Nuova Economia Politica con ripristino parziale di libero mercato.
Nel 1922 viene costituita l’Unione Sovietica, una Federazione di 15 repubbliche in Europa e Asia. Morto Lenin nel 1924, dopo lotte interne di potere si impone Stalin che fino alla morte nel 1953 governa con un sistema di unico partito-stato comunista, con grandi purghe che eliminano gli oppositori, abbandona la NEP e collettivizza l’agricoltura, vara forzati piani quinquennali da attuare nell’industria pesante, promuove il culto di se stesso, prima si accorda con Hitler per la spartizione della Polonia, poi, attaccato dalla Germania, fa determinante la sua resistenza per la vittoria sul nazismo, che lo porta a estendere il sistema sovietico nell’Europa dell’Est. Ne consegue la “guerra fredda” che divide il mondo in due blocchi contrapposti con tutte le crisi e le invasioni fino al fallimento del sistema collettivistico sovietico.
Maria Luisa Simoncelli