Ecco cosa prevede la Nota di aggiornamento al Def
La situazione economica e finanziaria è migliorata, le previsioni per i prossimi due anni anche: il governo stima la ripresa economica con una crescita dell’1,5% non solo per quest’anno, ma anche per il 2018 e il 2019. Il problema è che questa dinamica positiva è ancora troppo debole e, tra i vincoli europei di bilancio e l’impegno a tenere sotto controllo i conti pubblici, le risorse disponibili per la politica economica attiva – sostegno all’occupazione giovanile e agli investimenti, lotta alla povertà, per citare i tre punti principali – sono molto limitate. Se ci sono, per quanto inadeguate, è merito della pur modesta ripresa economica e dei margini di flessibilità accordati dalla Ue in materia finanziaria, anche in virtù di una credibilità in questo campo di cui va dato atto al governo. Si può provare a sintetizzare così il quadro che emerge dalla Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza (Def), approvata la scorsa settimana dal Consiglio dei ministri e ora in attesa del via libera del Parlamento.
Un provvedimento di grande interesse generale perché fissa le coordinate e gli obiettivi entro cui si muoverà la cosiddetta manovra economica, fondata sulla legge di bilancio da presentarsi alle Camere entro il 20 ottobre. Sui conti pubblici incombono le cosiddette clausole di salvaguardia europee, che prevedono l’aumento automatico dell’Iva – letale per l’economia in questa fase – nel caso in cui lo Stato non riesca a reperire le risorse pianificate nel bilancio. Solo per disinnescare questo meccanismo, occorrono 15,7 miliardi di euro. Anche a immaginare una manovra economica leggera (si parla di 20 miliardi) ed escludendo tagli macroscopici alla spesa e nuove tasse, il governo si trova a dover fare altri debiti per bloccare le “clausole” e avere un po’ di risorse da investire.
Nella Nota, il governo indica come obiettivo di deficit in rapporto al Pil l’1,6%, comprendendo in questo dato gli effetti della manovra in gestazione. Allo stesso tempo prevede una diminuzione del debito pubblico, sempre in rapporto al Pil, dal 132% del 2016 al 131,6% di quest’anno e al 129,9% del 2018. Sarebbe la prima volta da sette anni che il rapporto debito/Pil scende, sia pure di poco. Ma per arrivarci è fondamentale l’aumento del Pil, che implica anche maggiori entrate fiscali senza nuove tasse perché crescono le attività economiche su cui viene applicato il prelievo.
Resta il fatto che il governo dovrà penare non poco per trovare altre risorse da destinare al sostegno della ripresa economica. Il premier Gentiloni ha assicurato che la manovra economica “non sarà depressiva”, ma i margini restano molto stretti perché ci si muove sempre all’interno di un quadro europeo in cui i vincoli finanziari restano prevalenti sulle esigenze dell’economia reale. Ed è proprio questo paradigma economico che andrebbe messo in discussione.