Accordo dei quattro partiti maggiori per un sistema “tedesco all’italiana”
Finalmente è arrivato il giorno del giudizio. La legge elettorale è approdata alla Camera dei deputati ed è iniziata la discussione generale. Dopo tanto discutere su carta stampata, su talk show televisivi, dopo tante polemiche e, soprattutto, dopo un’attesa di anni, ci si sarebbe aspettato, a Montecitorio, il pienone. Ci si è trovati di fronte ad un coraggioso manipolo di deputati: meno di venti.
Un deserto che certo non fa onore a chi si trova a decidere su uno degli argomenti più significativi della formazione del governo del Paese.
Eppure questa legge, uscita faticosamente da una lunga discussione in commissione, ha l’appoggio dei quattro maggiori partiti: Pd, M5s, Fi e Lega, più o meno l’80 per cento dei consensi parlamentari, ed ha avuto un percorso abbastanza contorto. Si è passati da un timido inizio nel quale si prospettava un sistema maggioritario con ballottaggio alla francese ad un sistema alla tedesca, di fatto proporzionale, con le preferenze e con lo sbarramento al 5%, per arrivare ad una specie di sistema che qualcuno definisce tedesco all’italiana, visto che di tedesco rimane poco se non lo sbarramento al 5% e un proporzionale con qualche parvenza di preferenze.
Il sistema di votazione tra Camera e Senato viene uniformato per evitare che vi siano maggioranze diverse come qualche volta è accaduto. Ci saranno 225 collegi uninominali alla Camera e 112 al Senato. Essi però andranno ridefiniti entro un anno. Qualora la legislatura finisse in anticipo, si andrebbe a votare con quelli in uso dal ’93 col “mattarellum”. Ci sarà tuttavia la necessità di accorpamenti in quanto a quella data, con i riferimenti del censimento del ’91, i collegi erano alla Camera 475 e al Senato 225.
A tale proposito Alfano, non poco irritato per lo sbarramento al 5%, come del resto tutti i partiti minori, accusa la legge di incostituzionalità, in quanto i collegi dovrebbero tener conto dell’ultimo censimento effettuato e dal ’91 i censimenti in Italia sono stati ben due.
I partiti presentano un candidato per collegio e una lista che va dai 2 ai 6 nomi per ogni circoscrizione. L’elettore ha un solo voto per scegliere il candidato del suo collegio e la lista di partito collegata. I primi eletti sono i vincitori dei collegi uninominali, visto che sono anche quelli che più di tutti ci mettono la faccia, quindi, in base alla percentuale di voti ottenuta, quelli del listino a partire dal capolista. Il meccanismo è identico tra Camera e Senato.
Molti sono gli interrogativi circa la strana alleanza tra Renzi, Grillo, Berlusconi e Salvini. In questi ultimi giorni, proprio in vista della ricerca faticosa di un accordo sulla riforma elettorale, le polemiche si erano abbassate, ma si sa che tra i quattro non c’è alcun tipo di feeling, se si eccettua il sospetto da parte di molti che ci sia un accordo sottobanco tra Renzi e Berlusconi, tenendo conto che in un sistema ormai quadripartito è estremamente difficile trovare maggioranze ad elezioni avvenute.
È evidente che Renzi spera in una maggioranza relativa sostanziosa, che gli permetta poi di giocare su vari fronti per future alleanze di governo. Berlusconi, da parte sua, spera di rientrare nei giochi. Grillo “sente” la vittoria in tasca e, anche se dichiara che “stiamo facendo una legge elettorale che non capisce nessuno”, che “ci sono parole che non hanno più senso: democrazia, voto…”, si rimangia poi subito il tutto dichiarando che “stiamo lavorando benissimo, siamo soddisfatti e lo sarete pure voi”. C’è qualche incongruenza, ma di certo vuol dimostrare di essere partito di governo partecipando alla discussione.
La Lega Nord, da parte sua, desidera soltanto andare al più presto alle urne e non le importa con quale legge. Quale sarà il risultato è tutto da vedere. Il problema restano i partiti minori, che certo non possono vivere giorni tranquilli poiché il superamento della soglia del 5% è per quasi tutti una chimera. In gran parte la campagna elettorale sarà impostata proprio sul voto ai “piccoli”, presentato come un voto perso.
Le operazioni di aggregazione si stanno facendo soprattutto a sinistra, dove attorno a Pisapia sembra sorgere un certo amalgama tra Mdp, l’ex Sel e altri movimenti minori alla ricerca di un leader e di una struttura. Una chiamata anticipata alle urne per questi non è di certo la cosa più auspicata. Non dorme sonni tranquilli neppure Renzi, che oltre a dover fronteggiare il dissenso di Orlando, deve tener conto anche di critiche autorevoli: di Napolitano sulla legge e di Prodi sulle future scelte.
Siccome si pensa che la legge possa essere approvata in via definitiva ai primi di luglio, sembra che la fine anticipata della legislatura sia ormai cosa fatta.
Giovanni Barbieri