
Dopo il ritrovamento di animali infetti a Borgotaro, tutta l’Alta Lunigiana è ora inclusa nelle aree “1” e “2”

Anche in Lunigiana la preoccupazione per la Peste Suina Africana (PSA) si sta trasformando in allarme, soprattutto fra i cacciatori e gli allevatori di suini. Infatti il ritrovamento nel vicino comprensorio di Borgotaro, a pochi chilometri dal confine con la Lunigiana, della carcassa di un cinghiale poi risultata infetta da PSA ha portato anche i territori dei Comuni di Pontremoli e Zeri ad essere inseriti nella “zona infetta di restrizione 2” e quelli dei comuni di Mulazzo, Filattiera, Villafranca, Bagnone e Tresana in zona di sorveglianza 1. E molti ritengono che sia solo questione di tempo prima che tra Pontremoli e Zeri venga trovato un cinghiale vittima della Peste, fatto che farebbe scattare nuove pesanti limitazioni. Da oltre due anni la PSA è stata accertata in cinghiali morti nelle aree di confine fra Liguria e Piemonte e, nonostante le restrizioni e le misure di contenimento si è diffusa progressivamente arrivando ora anche alle porte del nostro territorio. Endemica in Africa, ma anche in Sardegna, è presente in numerosi Paesi dell’est Europa e in alcuni dell’occidente: oltre all’Italia sono coinvolte anche la Germania e il Belgio.
La malattia non è trasmissibile all’uomo, tuttavia questo può essere il veicolo con il quale si diffonde il virus e quindi il contagio alla popolazione dei suidi nei territori ancora immuni: se gli indumenti (soprattutto le scarpe), i mezzi (battistrada degli pneumatici) o le attrezzature vengono in contatto con il virus (che in natura rimane attivo anche per mesi) questo può infatti essere trasportato anche a notevole distanza. Ma al momento le categorie più preoccupate sono quelle degli allevatori di suini e dei cacciatori. I primi, infatti, sono quelli che più degli altri temono eventuali provvedimenti anche drastici perché sono i loro allevamenti ad essere i più esposti al contagio; già ora, vista la classificazione dell’Alta Lunigiana in zone di restrizione “1” e “2”, non è possibile introdurvi suini: gli allevatori dovranno quindi attendere il futuro per acquistare i capi.
Per quello che riguarda i cacciatori, la quasi totalità delle squadre (19 su 21) per le battute al cinghiale dell’Alta Lunigiana hanno affidato l’incarico di rappresentarle all’avv. Giuseppe Verunelli di Pontremoli. “Per ora – spiega Verunelli – l’unica strategia indicata per il contenimento del virus, appare quella di una forte riduzione del numero dei cinghiali nei territori infetti ed ovviamente il mondo dei cacciatori è chiamato ad intervenire per effettuare degli abbattimenti”. Ma le battute sono iniziate? “Purtroppo no – continua l’avvocato – perché, nonostante la grande disponibilità ad operare da subito gli abbattimenti nel tentativo di arginare il virus e i corsi di abilitazione effettuati da centinaia di cacciatori una serie di pastoie burocratiche stanno creando gravi ritardi”. Abilitazione per i cacciatori, corsi da bioregolatore, abilitazione per i cani ad una forma di caccia che non è quella tradizionalmente svolta nelle nostre zone, abilitazione per i conduttori dei cani, adattamento delle case di caccia con adozione di celle frigo, passaggi sanitari e superfici lavabili e disinfettabili… “Senza contare – spiega ancora Verunelli – che tutti gli animali abbattuti in zona 2 dovranno essere smaltiti, anche in caso di esito negativo dei test, mentre in zona 1 potranno essere utilizzate le carni solo all’interno dei confini della zona medesima. Ma ad oggi non è stato ancora approntato neppure un centro di raccolta delle carcasse”, cioè un container frigorifero dove conservare i capi che verranno abbattuti. Ma considerato che questi saranno probabilmente molte centinaia il numero dei container necessari sarà a sua volta rilevante. “Bisogna sottolineare infine – conclude – che il primo caso accertato di PSA risale al 6 gennaio 2022, ma poco o nulla è stato fatto per prepararsi all’arrivo, scontato, del virus. Ora ulteriori ritardi potrebbero essere fatali; eppure il nostro territorio, per posizione geografica ed orografia, potrebbe essere davvero la linea sulla quale fermare il dilagare della malattia in Toscana, ma per ora, solo state spese solo tante parole ma niente fatti”.
Paolo Bissoli