Il 24 febbraio segna il triste anniversario dell’invasione della Russia di Putin ai danni dell’Ucraina. Quando il mondo intero si stava illudendo di aver posto rimedio al disastro causato dalla pandemia, la guerra ha rimesso tutto in discussione, aprendo crisi che nessuno avrebbe mai potuto immaginare
Chi avrebbe mai detto, fino a un anno fa, che i luoghi che sono stati teatro della seconda guerra mondiale, 70 anni dopo quell’immane catastrofe sarebbero tornati ad essere zona di combattimenti – con relativi bilanci di morti e feriti – causati di nuovo dall’incapacità degli esseri umani di riuscire a trovare altri mezzi, che non siano le armi, per risolvere i contrasti tra nazioni? Eppure è successo e così, da un anno a questa parte, le nostre giornate iniziano con gli aggiornamenti degli attacchi ordinati da Putin contro l’Ucraina. Non che in questi 70 anni il mondo sia stato privo di guerre.
Ce ne sono state di ogni tipo: fredda, preventiva, di aggressione, di liberazione, di prevaricazione. Solo il fatto che riguardassero aree lontane da noi e ai margini della politica e dell’economia internazionale ce le hanno fatte dimenticare o mettere in secondo piano. Quando ancora il mondo intero si stava illudendo di aver posto rimedio al disastro causato dalla pandemia, l’invasione della Ucraina ad opera dell’esercito russo ha rimesso tutto in discussione, aprendo crisi che nessuno avrebbe mai potuto immaginare, prima di tutte quella legata all’esplosione dei prezzi dei carburanti e, a cascata, dei costi della produzione di energia.
Un risveglio drammatico dal sogno di aver tutto sotto controllo, avendo affidato gran parte delle forniture a colui che, nel giro di un giorno, è diventato il peggior nemico dell’Occidente. I ripetuti attacchi aerei o missilistici, uniti ai combattimenti sul terreno, hanno causato decine di migliaia di morti, anche e soprattutto tra i civili e, invece di affievolire la volontà di resistenza degli ucraini, ne hanno rafforzato la determinazione a non cedere ad un evidente sopruso. Certo, non a mani nude o con le fionde.
E qui si innesta il dibattito sul comportamento di un Occidente che, a quanto si può dedurre dalle decisioni prese, sembrerebbe più intenzionato al sostegno militare che alla ricerca di una via di pace. Perché, al di là dei diversi giudizi sulla crisi aperta da Putin, anche se non è dato sapere quanto la guerra potrà ancora durare, è fuori discussione che le ostilità prima o poi cesseranno e allora si dovranno fare i conti con la pace.
Dando per scontato che, a guerra in corso, sia di fatto impossibile avere cifre precise sulle vittime, sia su di un fronte che sull’altro, siano esse militari o civili, ci si dovrà pur chiedere che senso abbia avuto l’uccisione stimata di più di 450 bambini, di migliaia di civili, di decine di migliaia di soldati.
Se è vero che la fornitura di armi ha permesso all’Ucraina di opporre una strenua difesa delle sue ragioni, tuttavia la sua, per non allargare la portata del conflitto, è stata finora e continuerà ad essere una azione di difesa. Di fatto, mentre Zelensky deve accettare di porre limiti alla sua azione di guerra, è un anno, ormai, che Putin si sente libero di attaccare chi, come e quando vuole, compresi i momenti in cui a Kiev si trovano in visita esponenti politici di rilievo.
Una disparità di comportamenti che crea non poche difficoltà all’apertura di un dialogo. Qualcosa sembra muoversi nello scenario politico internazionale. È dello scorso lunedì la notizia che parla di un “risveglio” della Cina come mediatore che potrebbe avere le carte buone da distribuire per iniziare una partita onesta sulla ricerca della pace.
Un altro segnale forte è giunto, nello stesso giorno, dalla visita di Biden a Kiev. Quella che potrebbe rivelarsi una buona opzione, in realtà, almeno in partenza, rischia di allargare i problemi, perché farebbe entrare ufficialmente nel dibattito almeno due interlocutori: Cina e Usa, appunto.
D’altra parte, è opinione generale che solo un intervento diplomatico che metta con le spalle al muro Putin e Zelensky potrebbe sperare di giungere ad una qualche soluzione che porti almeno alla sospensione del conflitto armato. Resta l’interrogativo sul ruolo dell’Ue, che si ritrova a dover fare i conti con una guerra alle porte di casa e, nel contempo, a non riuscire, anche perché messa in secondo piano dagli attori principali, ad esprimere un ruolo significativo nell’avvio di un processo di pace.
Beati gli operatori di pace
Sono molte le dichiarazioni che escono dall’ambito della Chiesa cattolica italiana in occasione del compimento di un anno di guerra in Ucraina. Dal convegno “Beati costruttori di guerra?” (notare la provocazione già presente nel titolo), organizzato dalla diocesi di Milano, vengono messi in risalto i quattro punti, indicati da Giovanni XIII nella Pacem in terris, per la costruzione di una pace vera: libertà, giustizia, verità e amore.
Ancora oggi, essi rappresentano la via di uscita per superare la logica di guerra che continua ad incatenare il mondo. Bisogna lavorare, dice Sandro Calvani, funzionario Onu di lungo corso, affinché la pace possa apparire come una scelta concreta. Il cardinale Matteo Maria Zuppi, presidente della Cei, all’incontro bolognese “Armi nucleari: che fare?”, ha affermato che “se c’è il diritto a una legittima difesa, va anche considerato legittimo il diritto alla difesa della pace”.
Dal convegno è uscita una richiesta di totale disarmo nucleare per tutti i Paesi, unita all’invito al Governo italiano affinché ponga con urgenza all’ordine del giorno la ratifica del “Trattato Onu di proibizione delle armi nucleari”. Infine, le dichiarazioni di mons. Mario Delpini, arcivescovo di Milano: “Come sia possibile che persone intelligenti decidano di fare la guerra è un enigma incomprensibile in cui opera lo spirito di Caino. Come sia possibile che si costruisca pazientemente e sapientemente la pace è la speranza di tutti coloro che ritengono che valga la pena di essere uomini e donne. La pace è frutto dello Spirito buono che rende sapienti e forti. Questo possono fare tutti i credenti e tutti i cittadini: una rivoluzione spirituale”.
Antonio Ricci