Un convegno, con numerosi esperti, che ha analizzato la fase artistica che ha caratterizzato la città
Il meraviglioso artificio della pittura decorativa detta quadratura è presente a Pontremoli in vivace relazione con molti altri centri che portarono a splendore l’architettura dipinta in prospettiva e in sottinsù. Come una scoperta fu la pubblicazione nel 1974 (nuova edizione aggiornata e ampliata nel 1997) del volume Due secoli di pittura barocca a Pontremoli di Rossana Bossaglia, Vasco Bianchi, Luciano Bertocchi, editore Sagep col contributo di Provincia di Massa, Cassa di Risparmio Carrara e Comunità Montana a cura dell’assessore Paolo Bissoli. Le relazioni del Convegno – curato da Stefano Bertocci e Fauzia Farneti dell’Università di Firenze – tenute dal 21 al 23 ottobre in palazzo Dosi-Magnavacca hanno toccato aspetti dettagliati, analitici di tante opere della fase barocca e barocchetta presenti in un piccolo borgo che si avviò ad essere città per il costituirsi di propizie circostanze politiche ed economiche, richiamate da Luciano Bertocchi (di cui parliamo più diffusamente nell’articolo a lato), mentre Matteo Bola ha evidenziato le dimore che hanno dato volto urbano a Pontremoli. Fra le glorie architettoniche c’è anche palazzo Damiani però a rischio di perdita. Ricchi signori venuti da fuori a praticar commerci invitarono artisti per far belle le loro ville e i palazzi: le influenze furono dai centri d’arte tra cui Cremona, Bologna, Firenze, Napoli, Andria, Martina Franca. I relatori hanno esposto nozioni attinenti alla pittura di figura e decorazione plastica. Rilievo hanno avuto anche i Portugalli attivi nell’arte degli stucchi. Si è parlato poi di scultura lignea, di Alessandro Gherardini negli anni della sua formazione artistica a Firenze, con affinità di forme col maestro Alessandro Rosi, prima di dipingere a Pontremoli: in palazzo Dosi-Magnavacca, in palazzo Ruschi Pavesi, nella villa Dosi ai Chiosi, nella chiesa di S. Cristina la Trasfigurazione, in Nostra Donna Estasi di San Carlo Borromeo e L’Immacolata. Nella chiesa di S. Francesco c’è un Crocifisso alto m. 2,90 che suscita problemi di conservazione, restauri fatti non sono completi, però hanno svelato figure di sfondo in processione, le immagini in evidenza potrebbero essere di Guido Reni (Cristo, Maria e S. Giovanni) e del suo ambito forse Maddalena, San Carlo Borromeo e San Sebastiano. L’attribuzione si regge sulla sua presenza a Modena dove a corte era Antonio Belmesseri, che avrebbe potuto commissionare l’opera che poi donò ai francescani minori a Pontremoli, nel loro archivio è stato ritrovato un cartiglio datato 1629 con scritta “pittura di Guido Reni”. Il pluralismo prospettico della pittura architettonica detto “quadraturismo” è stato spiegato mettendo in evidenza opere, presenti a Roma, Cremona, Soncino, di Giulio Trolli, Andrea Seghizzi e i Natali: Giuseppe, Francesco e il figlio Gianbattista. Erano di Cremona, qui Giuseppe Natali dipinse le fastose architetture in S. Sigismondo, la chiesa fondata da Francesco Sforza per le sue nozze con Bianca Maria Visconti che portò in dote al nuovo duca di Milano Cremona e Pontremoli. Francesco Natali ha decorato il salone e nove sale di villa Dosi, casa Petrucci, la volta della sacrestia e la cappella di S. Nicola (bellissima la dilatazione nello spazio della scala finta) della chiesa della SS. Annunziata, morì nel 1735 mentre decorava la cupoletta e il lucernaio dell’oratorio di Nostra Donna. Il figlio Giovanbattista si forma accanto al padre, sue le quadrature a Nostra Donna, casa Ferdani, palazzo Negri, anticamera dell’alcova e la galleria di palazzo Pavesi con soffitto a sfondati chiari, le infinite soluzioni dei disegni che coprono le pareti di villa Pavesi a Teglia, un soffitto e l’alcova di palazzo Dosi-Magnavacca con vasi e cascate di fiori. Fu anche architetto: pronao di chiesa S. Francesco e palazzo Dosi.
(Maria Luisa Simoncelli)
L’arrivo del Barocco a Pontremol
La storia L’arrivo del Barocco a Pontremoli Ma come è arrivato il Barocco a Pontremoli, e come è possibile che quella che era una piccola cittadina abbia avuto questo incredibile momento di rilevanza storica ed artistica? Una domanda cui ha provato a rispondere Luciano Bertocchi nella sua relazione introduttiva. Una vicenda che, inevitabilmente, si va ad intrecciare con la storia con la S maiuscola, dimostrando che anche gli accadimenti nelle piccole realtà hanno un legame profondo con quanto avviene a livello nazionale ed internazionale. Tutto parte dalla nuova importanza che assunse, dall’inizio del ‘600, il porto di Livorno, che anche a causa della crisi degli approdi di Genova e Marsiglia divenne uno dei più importanti porti commerciali dell’intero mediterraneo. A quel punto divenne fondamentale nodo di passaggio il passo della Cisa per permettere il transito delle merci verso il nord d’Italia e d’Europa. E, conseguentemente, Pontremoli assunse quindi un ruolo di grande importanza strategica visto che era l’ultimo borgo abitato prima di affrontare il Passo appennico, che all’epoca era una mulattiera. Una Pontremoli che, ha evidenziato Bertocchi “in quel periodo viaggiava a tre velocità. Le famiglie nobili che vivevano di rendita, il popolo minuto che continuava la sua difficile esistenza mentre la classe dei commercianti per la prima volta si ritrovarono in un ruolo fondamentale. Grazie al loro dinamismo e alla loro voglia di innovare, hanno dato quella spinta propulsiva che ha poi caratterizzato la città per come la conosciamo oggi”. Una trasformazione dello spazio e dei luoghi che però, come spiegato, da Matteo Bola “non è stata immediata ed improvvisa. Ma è stato un lento e paziente adattamento delle strutture preesistenti”. Come, ad esempio, le piccole case medievali che venivano acquistate ed unite per creare poi gli ampi saloni dei palazzi nobiliari. La crescita di Pontremoli si arrestò, ha spiegato Bertocchi, “con l’arrivo di Ferdinando III di Lorena che compresa l’importanza che aveva assunto il passo della Cisa cercò in ogni modo di ostacolarlo per favorire così l’utilizzo dei passi appenninici più vicini a Firenze”. (r.s.)
Gli arredi pittorici e la tutela del patrimonio della storica struttura
Un restauro nella sala dei ritratti a villa Dosi
La villa come residenza estiva fu voluta dai fratelli Carlo e Francesco Dosi e affrescata da Gherardini e Francesco Natali, terminata nel 1705 come si legge nell’epigrafe dell’edicola sul ponte di accesso che scavalca il torrente Verde. Non si conosce l’autore del progetto complesso che si basa sull’asse prospettico principale, tipico del barocco, col susseguirsi del viale fino al cancello e portone centrale, senza apparente soluzione di continuità tra l’esterno e l’interno e si arresta nel retrostante ninfeo, perpendicolare sta l‘asse che porta ai simmetrici giardini posti ai lati dell’edificio. Fanno da cornice due cedri del libano piantati nel 1863 e censiti tra gli alberi monumentali della Toscana. La famiglia conobbe un periodo di decadenza e la villa venne abbandonata, furono vendute proprietà e il palazzo di città fu acquistato dalla famiglia Magnavacca. A inizio Novecento il marchese Giancarlo, diventato amministratore a Milano di un’importante azienda, recuperò quanto possibile e avviò la lunga stagione dei restauri. Dichiarata la villa monumento tutelato dallo Stato, nel 1988 furono avviati altri lavori di restauro con ripristino del soffitto. Nel 2021 l’attuale proprietario ha dato incarico di saggiare le pitture a “mezzo fresco” della sala dei ritratti, con approvazione della Soprintendenza. Sono apparsi volti, colonne tortili e trabeate, elementi di architettura picta, con intento di stupire l’osservatore. Proprio del barocco è cercare prospettive artificiali, riempire gli spazi per afferrare la realtà nell’illusione di possederla ben sapendo che è effimera, in un divenire continuo. Nelle arti figurative si creano forme che volano, nell’architettura si usa l’acqua come materia mobile, sonora e mutevole secondo la luce e l’ora del giorno: il fascino delle fontane barocche incorporate nei giardini e nelle piazze! In letteratura manca un grande poeta, Gianbattista Marino è il più noto che ha dilatato il poema Adone in una immensità di metafore, la figura stilistica che meglio interpreta la varietà, novità, meraviglia, la metamorfosi continua e illusoria della realtà, per cui salendo lo scalone di palazzo Dosi-Magnavacca faresti i gradini del secondo piano, ma non ci sono! L’età barocca è preludio all’inquietudine dell’uomo moderno, che ha visto sconvolte le certezze di prima: è la conseguenza della rivoluzione eliocentrica che porta smarrimento, il mondo si è rovesciato, tutto gira intorno al sole, la fisica aristotelica non funziona più e Giordano Bruno intuisce l’espansione dell’universo, lo bruciarono come eretico ma diceva il vero. (m.l.s.)