Laudate Deum, riflessioni a margine: convivere e condividere è il nostro destino

Ho letto più volte la Laudate Deum riuscendo a sorprendermi ad ogni lettura. L’esortazione apostolica è un documento scritto da un “Giovane” ai giovani: a coloro e a una generazione che ha già compreso la priorità; ma anche a coloro che non hanno ancora compreso cosa rischiano.
L’esortazione mi riportato alla mente un bellissimo cartone animato della mia generazione “Conan: ragazzo del futuro” di Hayao Miyazaki: una terra distrutta da un conflitto mondiale e nucleare, l’umanità sopravvissuta che ritorna a modelli produttivi preindustriali e una lotta affinché lo sviluppo scientifico, che ha contribuito a distruggere il mondo, possa essere utilizzato per il Bene Comune: saranno proprio tre giovani a raggiungere questo obiettivo e a ridare un futuro alla Terra. Papa Francesco ripropone gli stessi temi: la scienza e il sapere tecnologico come guida verso un futuro migliore ma anche come paradigma tecnocratico che determina l’idea di una crescita illimitata e di un essere umano senza limiti, al punto di potersi estendere all’infinito.
La Laudate Deum ci esorta ad agire, ripartendo dal multilateralismo dei paesi, che non sia solo di facciata, ma soprattutto dei popoli, dal basso, partendo dal ruolo del terzo settore e dalla partecipazione.
Sotto questo profilo la presenza dei migranti nel nuovo contesto culturale della patria di approdo è un’opportunità per la società e la Chiesa che li accoglie, anche dal punto di vista della Laudate Deum, stante che il cambiamento climatico e l’inaridimento di molte aree sono alcuni dei pool factor che spingono migliaia di persone a muoversi verso aree dove è più facile vivere e dove è cresciuto il livello di benessere, spesso a discapito di quelle stesse aree da dove provengono le nostre sorelle e fratelli.
La dimensione missionaria delle comunità ecclesiali italiane trova nella presenza dei migranti un “ponte” naturale, con particolare attenzione alla missio ad gentes. Gli immigrati sono sempre in contatto con le loro Chiese madri e le loro comunità, che sostengono con la solidarietà e le rimesse finanziarie che per alcuni paesi rappresentano l’unica entrata e fonte di investimento.
Lo smartphone, strumento spesso additato come in contrasto con le situazioni di indigenza dei migranti, è un “cordone ombelicale”, un canale sempre aperto sulle loro comunità di origine.
Si tratta di valori positivi che ci permettono di sviluppare una cooperazione non a senso unico, ma bilaterale, capace di far crescere nuove sensibilità basate sul primato della persona e sulla difesa della sua dignità.
Tutto ciò è una sfida per la nostra Chiesa locale, che ancora vive una pastorale rivolta quasi esclusivamente agli autoctoni oriundi.
La pastorale migratoria della “mobilità umana” inserita nel contesto dell’azione pastorale di tutta la Chiesa non è una delle tante opzioni pastorali, ma deve diventare una caratteristica della pastorale diocesana, poiché per dare corpo al principio “nessuno si salva da solo” dobbiamo considerare, come ha affermato Benedetto XVI nella Caritas in Veritate, che “nella nostra società in via di globalizzazione, il Bene Comune e l’impegno per esso non possono non assumere le dimensioni dell’intera famiglia umana, vale a dire della comunità dei popoli e delle nazioni, così da dare forma e dignità di pace alla città dell’uomo, e renderla in qualche misura anticipazione prefiguratrice, della città senza barriere di Dio”.

Sara Vatteroni
Fondazione Migrantes-Cei e
Associazione Casa di Betania, Carrara.