Ritrovata nell’aprile del 1820 sull’isola greca. A maggio arrivò a Parigi
Sono passati duecento anni da quell’aprile 1820 quando, nell’isola greca di Milo, venne alla luce, sotto poche decine di centimetri di terra, una statua della dea Afrodite che sarebbe divenuta nota in tutto il mondo come la “Venere di Milo”. Autore di una delle scoperte che ha restituito al mondo uno dei capolavori più ammirati e famosi fu un contadino del luogo, Yorgos Kentrotas, impegnato in uno dei tanti scavi in atto all’epoca nella zona di Plaka, il centro di maggiori dimensioni dell’isola, alla ricerca di preziosi reperti di arte greca, ma spesso anche semplicemente per prelevare pietre già lavorate per la costruzione di nuove case.
Spezzata in più parti, la scultura venne sommariamente ricomposta, ma le vicende legate al suo viaggio verso la Francia restano incerte: a prendere l’iniziativa fu un ufficiale della Marina francese, Jules Dumont d’Urville, esploratore e umanista, ma non è certo se – come pare – la statua sia stata acquistata o semplicemente presa e caricata su una nave anche grazie all’intervento dell’ambasciatore di Francia a Costantinopoli che si sarebbe occupato personalmente di trovare un passaggio per la statua. Il fatto certo è che a maggio la stessa veniva esposta a Parigi alla presenza di re Luigi XVIII, prima di essere avviata al lungo restauro che l’avrebbe poi introdotta nel Museo del Louvre.
A quanto pare assieme alla statua sarebbe stato ritrovato anche il basamento con una scritta che svelava l’autore dell’opera, Alessandro di Antiochia: una scoperta che avrebbe deluso le aspettative degli acquirenti. La città di Antiochia, infatti, si fa risalire all’inizio del III sec. a.C.: quindi la scultura non poteva essere di epoca classica come invece avrebbero voluto. Per questo preferirono “dimenticare” quella prova e per decenni la statua venne ritenuta di epoca ben precedente a quella poi stabilita nel corso del Novecento quando, durante uno studio approfondito, è stato fissato il 130 a. C. quale datazione: dunque troppo recente per essere “classica”.
Retrocessa a opera “ellenistica”, la Venere di Milo resta comunque una delle opere d’arte più famose del mondo e tra quelle più ammirate al Louvre di Parigi dove una gran folla si accalca nella sala che la ospita. Una ressa di ammiratori seconda solo a quella che si trova davanti alla Gioconda di Leonardo da Vinci.
Nel 1950 la Filetto VIII, nel 1965 la Minucciano II. Almeno due nel 1975: a Bigliolo e a Taponecco
In Lunigiana quante Statue Stele restituite dalla terra
Anche in Lunigiana la terra ha restituito preziosi reperti archeologici, prime fra tutte le Statue Stele. E questo 2020 è un anno di anniversari: nel 1950, dunque settant’anni fa, mentre erano in corso lavori di dissodamento del terreno nella Selva di Filetto, fu rinvenuta la testa poi denominata “Filetto VIII”. Quella vasta piana che dalle colline del bagnonese scende fino al Magra è stata teatro di numerosi ritrovamenti, tutti casuali.
Quindici anni dopo, nella primavera del 1965, a Minucciano venne trovata la seconda delle tre Statue Stele rinvenute nella zona del Santuario.
A Bigliolo di Aulla, 45 anni fa, durante lavori di dissodamento di un terreno agricolo, la benna dell’escavatore portò alla luce la bella scultura del guerriero con ascia e giavellotti. Integra e solo in parte “ferita” dal mezzo meccanico, rappresenta una delle sculture di maggior interesse della pur ricca raccolta del Museo allestito nel castello del Piagnaro a Pontremoli.
Ancora un ritrovamento in quel fortunato 1975: il 1° agosto, durante lavori di allargamento della strada comunale venne scoperta la “Taponecco”, un’altra delle stele di maggior suggestione, rinvenuta a ridosso delle abitazioni della omonima frazione montana del comune di Licciana.
(Paolo Bissoli)