Dove sono gli inverni di una volta?
inverno
Prime gelate invernali

Il poeta “maledetto” francese del Quattrocento François Villon si domandava dove fossero andate a finire le nevi dell’anno scorso (d’antan) per dire che della vita non resta nulla di tangibile; su un piano meno filosofico ci domandiamo dove si siano smarriti gli inverni di un tempo, puntuali e costanti nelle loro nevi e ghiacci a seconda delle latitudini coi tre giorni gelidi della merla.
Nella nostra zona, sul parallelo mediano tra equatore e polo nord, ora abbiamo giornate primaverili in pieno gennaio, la neve a bassa quota è evento raro o effimero, a dicembre spuntano le prime viole. Il pianeta si sta riscaldando con squilibri globali che avranno conseguenze gravi di cui tanti potenti non si vogliono preoccupare. Il Sud d’Italia conosce nevicate pesantissime, le piogge spesso si trasformano in tempeste tropicali, sembra capovolto il meteo di riferimento.
C’è chi ne soffre e chi ne trae guadagno, e noi lunigianesi siamo tra questi.

Così appariva Pontremoli la mattina del 4 marzo 2005: più di mezzo metro di neve caduta il giorno precedente
Così appariva Pontremoli la mattina del 4 marzo 2005: più di mezzo metro di neve caduta il giorno precedente

Chi ha un buon cumulo di anni ricorda come era duro attraversare l’inverno d’antan senza le difese e le attrezzature di ora: poche le case con termosifoni, acqua calda e docce, nessuna in campagna, dove le fonti di calore erano o un fuoco al centro del gradile, una stanza nera, densa di fumo, piena di spifferi, (poco diversa dall’età preistorica) oppure una stufa di ghisa a legna con due bocche o l’“economica” che scaldava, cucinava i cibi e aveva una vaschetta per l’acqua calda di vario uso, compresa la “borsa” per riscaldare il corpo o il letto.
Pochi i camini, erano vigorosi i brividi per spogliarsi in camere fredde, dove gelava l’acqua in quel lavabo detto “toilette”, il letto era scaldato a volte con mattoni caldi o col “prete”. Non era facile difendersi dal freddo perché mancava l’abbigliamento adatto: niente piumoni, pellicce e piumini imbottiti, che ora portiamo come una divisa, non scarpe calde e pantaloni per le donne, ma sul letto un “coltrone”, per i più poveri imbottito di cascami e non di lana, il cappotto in campagna si metteva per cambiarsi alla domenica, e non tutti l’avevano.
Non era stata diffusa ancora la lavatrice, la macchina più amata dalle donne; prima casalinghe comuni, donne di servizio, lavandaie di mestiere lavavano nei torrenti o nei lavatoi pubblici, risciacquavano i panni dopo il profumato rito del ranno, il bucato con acqua bollente passata sulla cenere nel grande concone. Le mani e le ginocchia avevano il nero dei geloni, un principio di congelamento. Nessun rimpianto per quegli inverni.

(m.l.s.)