Dopo le elezioni. Un governo può nascere dal confronto non dagli slogan

A due settimane dal voto continuano le grandi manovre di Salvini e Di Maio per guadagnare una posizione preminente.

11Luigi_Di_MaioEra facile immaginare che i risultati emersi dalle elezioni di domenica 4 marzo potessero generare grande confusione. Da una parte la chiarezza dei dati che hanno decretato due vincitori. Un partito: Movimento 5 Stelle con il suo 32,7%. Una coalizione: quella di Centrodestra (37%) e al suo interno la Lega che ha raggiunto la bella cifra del 17,4%.
In altri tempi, non da rimpiangere più di tanto, quando la politica si faceva per ragionamenti e non per slogan, si sarebbe detto che questa non era una vera e propria vittoria o comunque che i risultati non erano tali da far pronunciare sproloqui. Dalle urne un verdetto è uscito: nessuna parte – singolo partito o coalizione – ha i numeri per costituire un governo con le sue sole forze.
Altro dato inoppugnabile è quello delle procedure per avviare i tentativi di formare il nuovo governo: queste sono ben codificate dal dettato costituzionale e consegnano “la palla” nelle mani del presidente della Repubblica, che “nomina il presidente del Consiglio dei ministri” dopo aver terminato il giro di consultazioni.
11Matteo_SalviniCi vuol poco, quindi, a capire che se non tutti, almeno la gran parte dei discorsi che si sentono in questi giorni sono da addebitare o a scarsa conoscenza della materia (ma è difficile pensarlo) o alla volontà di gettare fumo negli occhi della pubblica opinione, la quale, essendo ormai abituata a ritenere gli slogan come unica forma di espressione del pensiero, non si preoccupa più di tanto di andare ad approfondire le questioni.
Così Salvini e Di Maio possono affermare che non ci può essere un governo senza di loro (un fatto reso vero dalla mancanza di numeri, non dalla impossibilità che questo accada in modo legale) e, nello stesso tempo, che non sono disposti a trattare e sono in attesa che qualcuno vada a palare con loro.
Dato che questo qualcuno, a conti fatti, non può essere che il PD, i due intenderebbero dire che quel partito dovrebbe andare con il capo cosparso di cenere a offrire su di un simbolico piatto la testa (il voto) dei propri parlamentari a puro sostegno di un governo sul quale non avrebbero possibilità di esprimere la minima valutazione. Non occorre parteggiare per il PD, basta un semplice ragionamento politico, per capire che se ciò dovesse accadere si verificherebbe un fatto mai prima avvenuto in più di 70 anni di Repubblica. La responsabilità della riuscita o meno del tentativo di dar vita a un governo non può essere messa sulle spalle di chi ha perso le elezioni. Si sia d’accordo o meno, il partito di governo uscente ha già pagato con la sconfitta elettorale, a prescindere dal fatto che possa essersela cercata con scelte poco felici. Con le elezioni, la responsabilità passa a chi è chiamato a formare il nuovo governo: saranno Salvini o Di Maio, se incaricati da Mattarella, a chiedere di incontrare gli altri.
Se lo faranno con la spocchia usata in campagna elettorale e in questi primi giorni post elezioni, difficilmente riusciranno nell’intento e la responsabilità sarà loro. Così va il mondo, direbbe l’Alessandro nazionale, almeno fino a quando ci saranno tali regole. La pretesa di piegare queste ultime al proprio tornaconto è un fatto che non scandalizza più di tanto, ma non sta scritto da nessuna parte che debba andare a buon fine.
Statisti non si nasce, ma si può cercare e sperare di diventarli avendo l’umiltà di far tesoro del buono che è presente nella storia e non con l’arroganza di chi pretende di guidare un Paese civile a suon di slogan nei quali, oltre le parole, si intravede un vuoto preoccupante.

I primi impegni sulle questioni economiche

parlamento_europeoSe per la formazione del nuovo governo tutto è ancora in alto mare, non sono poche, né di poco conto le decisioni che il nuovo Parlamento dovrà prendere a breve scadenza. La prima è il Documento di impegni economici e finanziari (Def), in discussione a partire dal 10 aprile. Con ogni probabilità sarà ancora il governo uscente, ma in carica, a presentare il documento e questo non potrà che essere in continuità con il passato.
Nei mesi successivi sarà il nuovo governo, quindi la nuova maggioranza, a farsi carico di completare il percorso. Sarà coinvolta anche l’Ue, che dovrà valutare i vari provvedimenti e dare un giudizio in base alla compatibilità con il quadro economico europeo. In questa occasione dovranno venir fuori le coperture dei costi legati alle tante promesse elettorali: dall’annullamento della Legge Fornero, al reddito di cittadinanza, alla flat tax…. Ciò se le nuove forze di maggioranza vorranno mostrare il loro volto di governo, dopo aver mostrato quello di lotta dai banchi dell’opposizione.
Decisivo anche il confronto con l’Europa: anche in questo caso non è che ci siano molti margini di manovra. È vero che certi vincoli di bilancio appaiono come veri e propri capestri che minacciano di strangolare l’economia di uno Stato, ma è altrettanto vero che nella situazione attuale l’Italia non può pensare a provvedimenti economici che vadano ad aumentare il debito dello Stato: il rischio sarebbe comunque alto e i danni potrebbero essere ben peggiori dei benefici. Tener fede alle grandi promesse elettorali e far quadrare i conti è più difficile quando l’economia è debole; i consensi si guadagnano più facilmente stando all’opposizione, la maggioranza rischia di perderli perché deve prendere decisioni. Può sembrare un paradosso, ma governare può rivelarsi molto più impegnativo che vincere le elezioni.

Antonio Ricci