Dopo la piacevole sorpresa di “Mia madre è un fiume” (Ed.Elliot 2011) e la conferma con “Bella mia” (Ed.Elliot 2014) Donatella Di Pietrantonio con questo L’arminuta ( Ed. Einaudi, pagg.163 euro 17,50) sembra chiudere una trilogia incentrata sul dolore o il disagio al femminile.
Se nel primo il difficile rapporto con una madre malata di alzheimer e nel secondo le conseguenze del terribile sisma de L’Aquila sono occasione per rivisitare vite dai legami profondi in esistenze problematiche, in questa terza fase letteraria nel titolo già è chiara la situazione centrale. L’arminuta nel dialetto abruzzese significa la ritornata (o la riconsegnata ), fino a pochi decenni fa in certe zone del nostro paese vigeva l’uso dell’affido di neonati di famiglie povere e numerose a parenti o conoscenti impossibilitati ad averne , di condizioni più abbienti e di, quasi, certa affidabilità.
È il caso dell’io narrante che all’età di tredici anni viene improvvisamente accompagnata dal padre da una cittadina sul mare dove viveva accudita ed amata nella felicità di una condizione privilegiata in un paesino dell’interno presso una famiglia povera composta da due genitori apparentemente anaffettivi fino alla brutalità e da una ragazzina, tre giovani ragazzi ed un bambino in tenera età.
La ragazza è frastornata fino al terrore, ma chi sono questi estranei, che cosa è successo perchè questo accada? La madre si è ammalata? Lei stessa ha commesso qualche colpa irreparabile e deve essere punita? Siamo nell’agosto del 1975, siamo in estate ma a settembre lei deve frequentare le scuole superiori, è brava e si comporta bene, cosa può essere successo?
Dovrà imparare a difendersi, si deve conquistare la vita che le è stata imposta , deve sfuggire al dolore e sciogliere l’enigma nel quale è precipitata. La storia avrà una sua evoluzione ed un esito attraverso questo mondo intricato e primitivo nel quale è facile essere travolti. La ragazza arriverà alla verità non senza fatica e sopratutto con l’aiuto di Adriana , la sorella minore non colta ma sveglia e capace di moti d’animo e comportamenti che donano alla narrazione punte di sincera emozione.
La scrittura è talmente scarnificata e precisa da ricordare una scultura, l’alternarsi dei toni dal grottesco al tragico aiuta a comporre certo un dramma ma con componenti di lucida attenzione e costruzione di impeccabile fattura. Non ci resta che attendere con ottimistica fiducia il prossimo capitolo di questa , almeno per ora, saga al femminile (e non solo).
Ariodante Roberto Petacco