Dando per scontato che Papa Francesco non abbia bisogno della nostra difesa, ci sembra comunque utile evidenziare alcune considerazioni sulle contestazioni che a più riprese si sono addensate sulla sua persona e sul suo magistero.
Si va dai “dubia” espressi da quattro cardinali all’accusa di eresia contenuta in una lettera firmata da una sessantina di persone, fino alle critiche per il pranzo offerto ai poveri nella cattedrale di S. Petronio in occasione del recente viaggio a Bologna e Cesena.
Che Papa Francesco non segua gli schemi riferibili al cerimoniale vaticano è un dato ormai definito e già questo urta quanti non sanno distinguere la forma dalla sostanza. Quelle che più danno noia a coloro che, pur rendendoci conto di fare una generalizzazione inesatta, potremmo definire “tradizionalisti” sono, però, le aperture pastorali, che si discostano dal solco, appunto, della tradizione, su temi considerati “intoccabili”. Non si vogliono, qui, affrontare gli aspetti dottrinali di tali argomenti; ciò che invece questa situazione ci suggerisce è un pensiero che, siamo convinti, tanti fedeli hanno covato a lungo nel loro animo.
È vivo, infatti, il ricordo di diverse occasioni in cui, a fronte di certi pronunciamenti “tradizionali” (chiediamo di nuovo scusa per la semplificazione) da parte dei pontefici, al minimo cenno di critiche o di perplessità “progressiste”, tutto veniva normalizzato con la considerazione che “il papa è il papa” e il suo magistero non si discute. Anni e anni di “mortificazioni” in tal senso hanno finito per convincere molti del fatto che, in caso di dissenso nei confronti di certi documenti, probabilmente era chi dissentiva ad essere nel torto per incapacità di cogliere l’argomento nella sua globalità.
L’ondata di proteste di cui sopra ci fa invece scoprire che il Papa può sbagliare, anzi, sbaglia di certo se viene meno alle aspettative di chi guarda alla Chiesa da un’ottica tradizionalista. Nel nome di questa tesi, si confondono allegramente gesti pastorali con enunciazioni teologiche, criticandoli nel nome di non si sa bene quali principi secondo i quali tutto deve restare immutato e immutabile.
Dato che la fine della Chiesa non sembra così vicina, aspettiamo con un misto di curiosità e di ansia il momento in cui si dovessero ristabilire le condizioni cui accennavamo sopra, aspettandoci di ascoltare nuovi richiami al rispetto del Magistero.
Antonio Ricci