Andate anche voi nella mia vigna

Domenica 24 settembre – XXV del Tempo Ordinario (Is 55,6-9; Fil 1,20-27; Mt 20,1-16)

Il brano di vangelo di questa domenica ci rappresenta un mondo che è al di fuori del nostro modo di pensare e di agire. Gli ultimi arrivati, che si sono appena sporcate le mani, ricevono un salario completo; i primi, stanchi per la fatica e il caldo, giustamente fanno le loro rimostranze, ma il padrone li mette a tacere.

1. Perché ve ne state qui senza far niente? Dio per la sua vigna chiama chi vuole, quando vuole, perché vuole, e liberamente stabilisce la ricompensa. A volte chiama fin dal grembo materno, come il profeta Geremia o Giovanni Battista; chiama quando uno è al lavoro, come i pescatori del lago o Matteo al banco delle imposte; chiama in momenti di solitudine come Natanaele che era sotto il fico o Zaccheo che stava curiosando sul sicomoro; chiama al termine della vita, come il ladrone pentito che viene chiamato quando sta per morire ed è il primo a entrare nel paradiso. La chiamata del Signore non conosce né l’età, né il riposo, né il pensionamento. Di fronte alla chiamata del Signore il male peggiore che ci può capitare è quello di chiudere gli orecchi e non voler sentire, magari scusandosi dicendo: non sono capace.

2. Dai loro la paga, incominciando dagli ultimi. Dio ha un modo diverso di ragionare, una logica diversa di valutazione. Noi uomini siamo dentro una società di conti e di bilanci, e la mentalità del contratto ha conquistato ogni dimensione sociale, arrivando anche a contaminare i nostri rapporti religiosi con Dio. Spesso crediamo di essere noi i costruttori della nostra salvezza attraverso l’osservanza di un codice esterno, e facciamo diventare Dio una specie di “datore di lavoro” o un “controllore” che alla fine pesa, paga e tutto è a posto. Ragionando in questo modo finiamo per dettare noi a Dio i termini della salvezza da possedere; finiamo col dire che Dio deve essere giusto alla maniera nostra, altrimenti ne andrebbe di mezzo lo stesso equilibrio del mondo.

3. Sei invidioso perché io sono buono? Dio è diverso da come l’uomo lo pensa, non è riducibile ai nostri schemi e i suoi pensieri sono diversi dai nostri pensieri: noi definiamo i reciproci rapporti in base alle prestazioni effettive, Dio guarda alle relazioni affettive. Egli agisce secondo i criteri della gratuità; non è tanto colui che “paga” secondo il guadagno, ma colui che dona al di sopra e al di fuori di ogni contratto. La vita del credente non è coperta e garantita da una prestazione di lavoro, ma dalla gratuità del dono divino; è per questo che Gesù dice: “Quando avete fatto tutto quello che vi è stato ordinato, dite: siamo servi inutili!”. La gratuità di Dio non rinnega la sua giustizia, ma imprevedibilmente la supera, e l’unica ricompensa noi la aspettiamo dal Padrone della messe. Questa ricompensa non è quantificabile in moneta, ma è una comunione totale che cerchiamo per tutta la vita, fino a quando sentiremo dirci: “Prendi parte alla gioia del tuo padrone”.

+ Alberto