La riedizione del libro del prof. Davide Lambruschi offre una importante opportunità per conoscere e capire meglio la città apuana attraverso il suo grande patrimonio artistico

La recente conferenza del prof. Davide Lambruschi all’UniTre Pontremoli Lunigiana è stata l’occasione per conoscere quel “percorso storico artistico nella Carrara della Controriforma” che Lambruschi ha illustrato nel suo libro “Segni del Sacro” del quale è stata pubblicata in questi mesi la seconda edizione. Uno studio, sottolinea l’autore nell’introduzione, nato “dall’esigenza di approfondire l’epoca della Riforma Cattolica e della Controriforma” anche nel particolare della realtà nella quale ciascuno di noi vive, diocesana o parrocchiale che sia.
Davide Lambruschi prende in esame il territorio del vicariato di Carrara e ci accompagna lungo un itinerario che, non a caso, parte dalle maestà alle quali dedica anche un ampio capitolo con dettagliato apparato fotografico. Si tratta della “pietra che prega”, quel museo diffuso che ben risponde al pensiero di Antonio Paolucci per il quale in Italia “il museo esce dai suoi istituzionali confini, occupa le piazze e le strade, entra nei palazzi e nelle chiese”, museo diffuso “che ci fa unici nel mondo”.
Nel caso specifico, “iscrizioni, stemmi, lapidi e, soprattutto, immagini sacre punteggiano le strade di Carrara come segnali di un tessuto storico, sociale e culturale che affonda le proprie radici in anni lontani, ma che accompagna quotidianamente la vita delle persone”. Si tratta di un patrimonio con caratteristiche che accomunano la città del marmo ai tanti territori familiari a ciascuno di noi. Ma senza alcun dubbio Carrara possiede quel molto in più, quel valore aggiunto che ne fanno un unicum, anche se non sono pochi quelli che lo ignorano o sembrano dimenticarlo anche – o forse soprattutto – nella città scelta da Michelangelo quale luogo dove trascorrere lunghi mesi, lui che era già l’artista più famoso del mondo.
A Carrara, dove il marmo è stato impiegato anche per costruire muri lungo le strade e balaustre sui ponti, i luoghi del sacro sono innumerevoli. Lambruschi ne elenca una quindicina, noti o poco conosciuti. Dal celeberrimo e bellissimo Duomo di Sant’Andrea Apostolo a quel Monte di Pietà ignoto ai più ma segnalato dalla presenza della figura dell’Angelo Custode rappresentato dalla maestà in marmo che ne decora la facciata. Impossibile citare tutte le “tappe” di questo straordinario percorso dove anche i ponti (come quello “delle Lacrime”) sono rivestiti in mamo e riportano incisi simboli cristologici e monogrammi mariani.
Ma nell’anno del quarto centenario del voto dei Pontremolesi alla Vergine Maria, non si può non soffermarsi sulla “Madonna del Popolo” venerata a Carrara. Qui, dal XIII secolo, la Porta Ghibellina chiudeva il borgo medievale in corrispondenza della via omonima che dal Ponte della Lacrime, sul torrente Carrione, conduce al Duomo. Sulla porta l’immagine della Madonna venne invocata dai Carraresi nel 1495 a protezione dall’esercito di Carlo VIII che stava per saccheggiare la città. Il 23 giugno i quindicimila soldati erano accampati nei dintorni di Carrara e si preparavano a devastarla ma, “miracolosamente”, come è stato scritto, le truppe la risparmiarono. Come noto a Pontremoli andò diversamente: una settimana dopo, infatti, il borgo tra la Magra e il Verde venne dato alle fiamme e bruciò per tre giorni.
Fra i tanti spunti di interesse che emergono dalla lettura del libro edito da Sea, uno spazio è dedicato anche alle confraternite che ebbero uno stretto legame con la B.V. Maria. Sono cinque quelle elencate, ad iniziare da quella di Santa Maria Annunziata che nel 1596 aveva un altare nel Duomo e un oratorio nei locali attigui, caratteristica comune ad altre. L’autore cita le confraternite di Santa Maria della Rosa (la Confraternita Grande), della Madonna del Carmine, della Madonna del Suffragio e quella della Pietà. Da esperto di storia dell’arte, profondo conoscitore del territorio e acuto osservatore, Davide Lambruschi dedica un ampio capitolo ad alcune devozioni alla Madonna e alle immagini ad essa collegate. Ma vuole concludere il saggio con pagine di segnalazione di esempi relativi a quella che definisce la “mancata tutela di un Bene Culturale”: immagini di fronte alle quali non possiamo non interrogarci sull’impegno che ciascuno di noi, nel proprio ambito, (non) mette nell’opera di salvaguardia di opere che caratterizzano il patrimonio, grande e piccolo che sia, che dobbiamo prima conoscere e poi tutelare.
Paolo Bissoli