Intervista a Mauro Cavicchioli, Associazione Papa Giovanni XXIII
Incontro Mauro Cavicchioli di ritorno dall’ Africa dove, con l’Associazione Papa Giovanni XXIII, sta seguendo diversi progetti che riguardano l’accoglienza di ex-detenuti. Stavolta mi sorprende proprio: “In Africa molti sono sereni – mi dice -, mi fanno addirittura innervosire, sono persone semplici, hanno ancora un concetto bello di famiglia che, per loro, è un punto di riferimento”.
La struttura familiare ancora forte nei Paesi africani, quindi, è anche fonte di tranquillità, di serenità?
“Si, questo valore della famiglia è molto importante, tanto che, un paio di volte l’anno, tutti i parenti tornano nel luogo d’origine e organizzano riunioni che durano diversi giorni. Tornano anche dall’estero e, se non hanno una casa sufficientemente spaziosa, la costruiscono, perché devono passare del tempo assieme. Parlano dei loro problemi: le persone anziane danno preziosi consigli derivanti da una vita di esperienze e trovano assieme le soluzioni”.
Queste affermazioni mi mettono in crisi: ma se in Africa non hanno quasi nulla, come possono essere felici? Guarda noi come fatichiamo per farci uscire un sorriso e abbiamo una montagna di cose!
“In Camerun hanno una terra fertile, quindi quasi tutti hanno da mangiare. Quella, però, è la parte materiale: non sono ricchi ma hanno il sufficiente per vivere; la vera ricchezza è l’amore fraterno, sia all’interno della famiglia, che del villaggio di origine. In Togo e Burundi vedo più povertà ancora, ma non sono tristi neppure lì. In questi Paesi stiamo operando per creare progetti per ragazzi che escono dal carcere, perché quando qualcuno di loro sbaglia, la vita diventa un inferno davvero. Anche le famiglie, pur unite, come dicevo, talvolta vedono mariti che sposano più donne e poi non riescono a seguire tutti i figli, specie se uno dei coniugi muore. I ragazzi talvolta si perdono, sbagliano ed è facile siano abbandonati a loro stessi, se non si ravvedono subito. Non è tollerata la vita nell’errore, il tentare di guadagnare senza un onesto lavoro. Ed ecco che cerchiamo di creare dei centri di accoglienza per questi ragazzi che hanno sbagliato. È una goccia nel mare quello che stiamo facendo, ma per chi riusciamo ad accogliere è risolutivo. Comunque, la maggior parte delle persone che incontro ha un atteggiamento positivo verso la vita, anche perché, come dicevo, si aiutano a vicenda, si vogliono bene”.
Mi viene in mente che i miei nonni mi raccontavano che, nei loro paesetti, circa un secolo fa, quando moriva una mucca ad una famiglia, tutto il paese faceva una colletta per ricomprarla. Nessuno era ricco ma c’era solidarietà e anche molta serenità.
Mauro aggiunge un ultimo particolare: “Li stiamo rovinando, vedo sempre più gente schiava di tv e cellulari; guardano quello che accade in Europa, sognano beni che non possono avere e rischiano di perdere i bei valori che hanno per ricercare una felicità effimera”.
Stefano Bonvini