Giornata della poesia: versi capaci di superare ogni barriera

Nella nebulosità del nostro tempo, sospeso fra la paura del coronavirus, le preoccupazioni per un’economia in ginocchio e le diatribe politiche, ben venga la Giornata mondiale della poesia, istituita dall’Unesco nel 1999, da celebrarsi il 21 marzo, in onore delle forme espressive più belle ed antiche utilizzate dall’uomo. Molti, infatti, i poeti che hanno scritto “poesie sulla poesia” cogliendone l’essenza profonda e facendo sì che le loro sensazioni ed emozioni giungessero fino a noi, in modo nitido e diretto aiutandoci a recuperare un valore, ormai desueto: lo stupore.
I componimenti poetici hanno la rara capacità di trascendere la lingua dei singoli autori e di riuscire a comunicare con tutti. Non solo con il senso delle parole, ma anche attraverso la loro musicalità. Il 21 marzo, ovviamente, non è data casuale, bensì inizio della primavera con i suoi fiori, le sue fragranze, i colori, le promesse di vita rinnovata di cui mai come ai giorni nostri avvertiamo l’esigenza. Il perché di una tale giornata consiste nel fatto che la poesia è in grado di oltrepassare ogni confine o barriera, le lingue, le diversità, portando in sé un ideale di bellezza che diviene globale.
Attraverso i versi, in rima e non, avvengono scambi culturali, dialogo, condivisione, messaggi di pace e di accoglienza. Perché le poesie contribuiscono a renderci migliori, ad arricchire la nostra anima e di conseguenza ci spronano a “colorare” il mondo che ci ospita, sostituendo il grigiore con l’arcobaleno. Tutto ciò non rimane nel cassetto dei sogni, ma si traduce in realtà. Fortunatamente, nonostante il genere poetico venga sottovalutato, sono ancora molti coloro che sanno cogliere l’essenza mirabile delle liriche. Anche di quelle che abbiamo mandato a memoria sui banchi di scuola e che rammentiamo con piacere, unitamente agli anni beati della gioventù, impegnandoci “sulle sudate carte” ormai andate in disuso, togliendo così ai nostri giovanissimi parte delle loro preziose emozioni.
Ma chi è il poeta se non un indagatore ed un interlocutore, attento e raffinato, dell’infinito? Egli intuisce ciò che gli altri non avvertono. Lavora e medita nel silenzio, quando il tempo non incombe e non urge sulle sue spalle, quando tacciono i rumori del mondo chiassoso, quando il cielo diviene una trapunta di stelle. I versi, a volte, sono struggenti eppure di grande forza vitale ed incisiva energia. Versi che evidenziano il dolore, la gioia, l’attesa dell’uomo e del cosmo.
Altre volte profumano di progetti, di futuro sereno da scrivere, soprattutto da vivere in pienezza nella consapevolezza che la vita è il dono più grande che abbiamo. Parole, a volte, trasparenti come alabastro, filtrate da sensibilità, intelligenza, eleganza letteraria; che non si esauriscono in suggestioni passeggere, ma si fanno relazione e comunicazione che vanno dritte al cuore. Anche dei più distratti. Il poeta non scrive per ricevere plausi, premi o riconoscimenti, bensì per una forte esigenza e spinta interiore che misteriosamente sostiene il viaggio lungo o breve del nostro incedere nel mondo. Un poetare sorgivo di umana schiettezza, di autentica confidenza con i “silenzi parlati” e delicatamente graffiati.
Spunti di riflessione, spesso in controtendenza col “ben pensare” di questa società corrosa da antichi dogmi e “persa in morali falsità” come ha scritto qualcuno. Il poeta scrive senza filtri, insegnandoci a non avere paura dei sentimenti, anche di quelli più reconditi in quanto, sempre, aprono spiragli di luce. Recuperiamo, dunque, il valore della poesia in un procelloso mare di “prosa”. Nella convinzione che essa è un ottimo salvagente, a cui aggrapparsi quando tutto sembra inutile, il massimo della “speme, ultima dea” e dell’anelito umano verso un mondo “superiore”. Oltre gli angusti confini del tempo fisico e dello spazio.

Ivana Fornesi