I contrasti interni portano acqua al mulino degli Stati che non vogliono aprire al nostro Paese
I dati della pandemia da coronavirus cominciano ad essere da qualche settimana sotto controllo e l’Italia, come il resto d’Europa, si rimette in movimento: dal 3 giugno si possono di nuovo superare anche i confini regionali con la possibilità di accedere alle seconde case, ricongiungersi con i parenti, gli amici, visitare musei e città d’arte, pensare a vere e proprie vacanze. L’Italia, inoltre, riapre non solo le porte a se stessa, ma anche all’Europa: si potrà entrare nel nostro Paese dagli stati dell’Unione europea e da tutta l’area Schengen.
Le misure adottate e i sacrifici affrontati hanno permesso di guardare al futuro prossimo con maggiore ottimismo. Certo, non bisogna abbassare la guardia e si devono mantenere quelle misure di sicurezza ormai note a tutti, anche se ignorate da qualche buontempone, per far sì che non vi siano focolai di ritorno. Nelle decisioni prese dal governo, concordate con le regioni, si prevede anche la possibilità di chiusure locali nel caso ci fosse un rigurgito di contagi per evitare di annullare i risultati ottenuti.
La decisione di dare il via libera a tutte le regioni non è stata semplice poiché non tutti i “governatori” erano favorevoli all’apertura indiscriminata e ognuno aveva ricette personali. Si andava dal passaporto sanitario all’obbligo dei test sierologici o dei tamponi, alla chiusura ad alcune regioni ancora segnate da alti numeri di contagi. Sorvegliata speciale era la Lombardia.
Alla fine si è deciso di aprire a tutte le regioni nello stesso giorno. Vari i motivi: in primo piano, sicuramente, il tentativo di dare respiro alle strutture ricettive, perché il turismo è una voce importante per l’economia del Paese.
Ma c’era anche da inviare un segnale all’Europa e al turismo proveniente dall’estero, cercando di dare al mondo l’immagine di un Paese che sta andando verso il superamento della pandemia poiché per troppi Stati, europei e non, in questi mesi l’Italia è stata rappresentata come una specie di focolaio di infezione. La dura realtà è che ogni Stato, come ogni regione italiana, sta cercando di guadagnare posizioni nella grande battaglia delle frontiere.
Ognuno cerca di trovare spazi per il proprio futuro anche a danno degli altri. Per questo si stanno facendo accordi sottobanco per avere fette di mercato turistico e a qualcuno giova che l’Italia rimanga fuori dai giochi. Mentre l’Italia apre le frontiere e permette di entrare liberamente e senza quarantene né autocertificazioni a tutti coloro che provengono dall’area Schengen, per noi non è la stessa cosa.
In questo momento i Paesi che accettano cittadini italiani senza restrizioni sono solo sette: Portogallo, Olanda, Serbia, Kosovo, Albania, Lettonia e Turchia. La Francia il 15 giugno abolirà i controlli alla frontiera e la Spagna abolirà la quarantena alla fine dello stesso mese, ma a questa misura precauzionale si dovrà soggiacere se si vorrà andare in Islanda, nel Regno Unito, in Irlanda, in Bulgaria, nella Macedonia del Nord; mentre per la Croazia e la Slovenia sarà necessaria la prenotazione alberghiera. Ha fatto scalpore la scelta della Grecia: sono 29 gli Stati i cui turisti potranno visitarla; tra di essi, almeno all’inizio ma sono in corso trattative, non c’era l’Italia!
Altri Paesi “amici” sono l’Austria, che dal 15 giugno aprirà le sue frontiere con i Paesi confinanti, ma non con l’Italia, e la Svizzera, che non vuole italiani malgrado riapra campeggi, giardini zoologici, piscine, teatri e cinema. Ma sono in buona compagnia. Altri 20 stati chiudono le porte: Danimarca, Germania, Malta, Finlandia, Polonia, Romania, Ungheria, Svezia, Slovacchia, Repubblica Ceca, Ungheria, Romania, Belgio, Bosnia, Polonia, Norvegia, Montenegro, Ucraina, Russia.
Non tutti i giochi sono ancora fatti poiché vi sono ancora i tempi per convincere i governi, almeno alcuni di essi, a ritornare sui propri passi e ad avere un atteggiamento più aperto. Tuttavia è innegabile che il panorama non sia dei più entusiasmanti. Tutto il quadro mette in una luce enormemente fosca l’immagine che viene proiettata all’estero e, anche se si apriranno le frontiere, bisognerà fare una grande opera di persuasione per convincere gli stranieri a venire nel nostro Paese.
Per questo era importante un atto di coraggio, confidando nella serietà della gente, e aprire le frontiere interne a tutte le regioni. Ma quello che sta accadendo dovrebbe far riflettere sul modo di affrontare i nostri problemi. Quello che viene comunicato all’Europa è il frutto delle continue ed estenuanti diatribe, spesso da pollaio, che i nostri politici riescono a mettere in piedi ad ogni occasione. L’ultima è proprio la pantomima messa in piedi per decidere l’apertura dei movimenti interni tra le regioni. Si critica il governo quando prende le decisioni, si vuole essere ascoltati – e sarebbe cosa buona – ma quando si vanno a consultare i rappresentanti delle regioni ci si infila in un tunnel di visioni diverse che è quasi impossibile conciliare e le decisioni diventano quasi impossibili.
Giovanni Barbieri