Trent’anni fa, il 9 novembre 1989, cadeva il muro tra le due Germanie: era la fine dei due blocchi contrapposti
Nella notte del 13 agosto 1961 era sorto e nella notte del 9 novembre 1989 sotto una luna piena cadde il muro che aveva diviso Berlino ovest, enclave della Repubblica Federale democratica, dalla parte orientale della città capitale della Germania comunista. Fu un evento davvero epocale per le improvvise trasformazioni che hanno mutato radicalmente il quadro internazionale ereditato dalla seconda guerra mondiale e dalla successiva guerra fredda.
La barriera del muro – costruita rapidamente con blocchetti di cemento sotto la scorta di carri armati, poi rafforzata e allungata per 155 km (43 km tagliavano la città e 112 blindavano il settore occidentale collegato alla sua capitale Bonn solo da un corridoio aereo e un’autostrada controllatissima)- aveva mortificato la libertà dei berlinesi e diviso fisicamente parenti e amici. Fu eretta per impedire il passaggio dei tedeschi dell’est, più poveri e senza libertà di pensiero, ai settori liberi e ricchi di Berlino ovest.
Il bellissimo film Le vite degli altri più di ogni parola fa conoscere l’organizzazione centralizzata che investiva e spiava ogni aspetto della vita dei singoli e della società. Il muro si collegava a divisioni ancora più profonde tra le società occidentali liberali e democratiche e il blocco degli Stati totalitari delimitati dai confini segnati dai fiumi Oder-Neisse, a sovranità limitata sotto l’egemonia di Mosca e legati al Patto di Varsavia contrapposto alla Nato.
Di quella notte ricostruiamo alcuni momenti attingendo dal Diario berlinese dello storico Robert Darnton che ne fu testimone diretto. Andati a letto in un mondo dai confini ben definiti i berlinesi si svegliarono senza più confini, senza più blocchi di potenze. Sconcertati ma in uno stato d’animo di grande euforia, specialmente a Berlino est si diffuse l’idea che il popolo aveva conquistato il potere senza che fosse stato sparato un solo colpo.
La Germania riunificata
Divisioni la Germania ne aveva conosciute nei secoli, unificata nel 1871 intorno al regno di Prussia che per l’abile strategia del cancelliere Bismark diventa II Reich, nel Novecento subisce la perdita di due regioni importanti, l’Alsazia e la Lorena e il distacco del bacino minerario della Saar, in seguito alla sconfitta nella I guerra mondiale. La dittatura nazista mirò a recuperare le perdite e molto altro, ma fu pesantemente sconfitta nella II guerra. La conferenza di pace di Potsdam dell’estate 1945 riconfermò le decisioni prese a Jalta di dividere la Germania in quattro zone di occupazione, che si trasformarono poi nella formazione di due Stati: la Repubblica Federale con capitale Bonn nel blocco delle democrazie dell’Occidente e la Repubblica popolare comunista della Germania dell’Est, stato satellite dell’Urss.
La caduta del muro portò il 3 ottobre 1990 alla proclamazione ufficiale della riunificazione dei due Stati, è la Germania di oggi, il più forte paese dell’Unione europea. Le differenze accumulate erano molte sul piano politico, sociale ed economico, il cancelliere Helmut Khol con determinazione attuò il progetto di unificazione. I tedeschi erano e sono una nazione, non si erano attenuati i rapporti di simpatia e di fraternità fra di loro, ma un divario su vari piani si era formato in quasi mezzo secolo di divisione e ancora è in parte visibile.
La crisi che dal 2008 tormenta l’economia mondiale, affrontata dai tedeschi meglio di altri, ha avuto però risvolti anche in Germania soprattutto nelle regioni della ex-DDR, dove per protesta e forse paura sono tornati visibili e aggressivi movimenti di estrema destra e perfino nazisti che pensavamo di non vedere più e proprio in Germania, che è il paese che meglio di tutti ha fatto revisione storiografica su nazismo e antisemitismo: ne è una prova anche la richiesta di perdono per le stragi fatte dai tedeschi in paesi del Comune di Fivizzano da parte del presidente della Germania in visita in agosto col nostro capo dello Stato. (m.l.s.)
All’interno del partito comunista c’erano spaccature, un nuovo segretario disse che le restrizioni di viaggio non erano più in vigore, subito i berlinesi dell’est corrono verso il muro e chiedono di passare e, vista la pressione incalzante, i cecchini, appostati sulle torrette di controllo della fascia di terra di nessuno, quella notte non sparano e le guardie cominciano a dare via libera.
Chissà cosa sarà accaduto all’interno della struttura di potere della DDR, ma il protagonista della caduta del muro fu il popolo di Berlino armato soltanto delle sue idee; i berlinesi lo hanno scalato, sfondato, demolito, vi hanno ballato sopra stretti gli uni agli altri per non cadere, allegri e pieni di speranza.
Almeno mezzo milione si radunarono alla porta di Brandeburgo, diventata l’epicentro della grande festa, dietro non avevano nessuna organizzazione, nessun capo come era stato in altre lugubri adunate oceaniche, solo un grande entusiasmo. “Si riappropriarono di uno spazio che era loro, e se ne tornarono trionfanti a est con un fiore per la fidanzata o un giocattolo per un bambino”.
Come un castello di carte crollarono in brevissimo tempo gli altri stati sovietizzati del ”comunismo reale” nell’Europa dell’Est e balcanica: per prime le tre repubbliche baltiche, l’Ungheria con la nascita di più partiti e l’apertura delle frontiere, la Polonia (dove già in agosto era sorto il primo governo non comunista affidato al sindacato Solidarnosc), la Cecoslovacchia, Jugoslavia, Bulgaria e in modo sanguinario in Romania con l’uccisione in diretta tv del dittatore Ceausescu.
Nell’Urss, dopo gli anni cupi del corrotto governo Breznev, nel 1985 era asceso al potere Gorbaciov a soli 54 anni che operò una radicale trasformazione (perestrojka) per rimediare ai ritardi specialmente nella rivoluzione informatica, dare più trasparenza (glasnot) al sistema politico e il passaggio a un’economia di mercato: sulle ceneri dell’ideologia e del sistema politico del comunismo sovietico e sulle macerie del muro di Berlino nasceva nel 1991 la Federazione Russa di oggi, una potenza con altre forme di governo autoritario e di strategie geopolitiche.
Maria Luisa Simoncelli