Venne un uomo mandato da Dio

Domenica 17 dicembre – Terza di Avvento
(Is 61,1-2.10-11; 1Ts 5,16-24; Gv 1,6-8.19-28)

La terza domenica di preparazione al Natale del Messia si chiama “Domenica Gaudete”, perché è caratterizzata dall’invito alla gioia per la venuta imminente del Messia.
1. Io gioisco pienamente nel Signore. Gioire nel Signore è il segreto della felicità, la quale non consiste nel diventare come Dio, ma nell’essere con Dio. Questa comunione con Dio avviene prima di tutto nell’ascolto della sua Parola e nel dialogo della preghiera, sostegno dei cristiani e portatrice di gioia: “Chiedete e otterrete, perché la vostra gioia sia piena” (Gv 16,24).
La gioia è piena quando riconosciamo la misericordia di Dio, quando diventiamo attenti ai segni della sua bontà e lo ringraziamo per quanto ogni giorno riceviamo da Lui. Chi nei doni ricevuti da Dio trova l’occasione per amarlo con sincera gratitudine e per comunicare il suo amore agli altri, costui ha veramente il cuore pieno di gioia.
2. Siate sempre lieti. La gioia che viene dal Signore non è qualcosa che ci fa chiudere in noi stessi, in un isolamento di difesa contro gli attacchi esterni, ma è come un volo che per sua natura si apre e ci spinge verso il prossimo con le opere di misericordia.
Non si può essere felici da soli, da soli non si può fare festa, ma un cuore è davvero felice quando ricercando la beatitudine interiore dona se stesso agli altri con gratuità. Solo amando si è amati; quello che riceviamo ci fa sopravvivere, ma quello che doniamo ci fa vivere.
Gesù ci dice: “Si è più beati nel dare che nel ricevere!” (At 20,34), e anche se il dono fatto non sempre trova riconoscenza da parte di chi è beneficato, sicuramente ci fa essere graditi al Signore, perché “Dio ama chi dona con gioia” (2Cor 9,7).
3. Io non sono il Cristo. Giovanni Battista onestamente riconosce di non essere il Cristo, ma di essere “Voce di uno che grida nel deserto, di non esser degno di slegare il sandalo del Messia”, e più avanti afferma: “Lui deve crescere; io, invece, diminuire” (Gv 3,30).
Così dopo aver compiuto la sua missione, si ritira in disparte. Sul suo esempio il discepolo impara a non essere protagonista, a non lasciarsi prendere dall’ansia della prestazione: egli offre il suo servizio a un altro nella misura in cui è richiesto e gradito, e quindi sta tranquillo e vive la quotidianità dove Dio l’ha collocato.
Anche se riveste un ruolo di importanza, non fa del suo posto di responsabilità un elemento di protagonismo: “L’operatore pastorale non è che uno strumento nelle mani del Signore; si libererà così dalla presunzione di dover realizzare, in prima persona e da solo, il necessario miglioramento del mondo.
In umiltà farà quello che gli è possibile fare e in umiltà affiderà il resto al Signore. È Dio che governa il mondo, non noi. Noi gli prestiamo il nostro servizio solo per quello che possiamo e finché Egli ce ne dà la forza” (Papa Benedetto XVI).

† Alberto