La visita di Ursula von der Leyen e di Giorgia Meloni a Lampedusa. Le misure del Governo sui migranti
La visita di domenica scorsa a Lampedusa – vero e proprio ‘occhio del ciclone’ dell’immane problema rappresentato dalle migrazioni dall’Africa verso l’Europa e, quindi, in prima battuta, verso l’Italia – da parte della presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, accolta e accompagnata dalla nostra presidente del Consiglio Giorgia Meloni, in veste di guida in quanto padrona di casa, ha suscitato grande interesse dal punto di vista mediatico, ma non ha fugato dubbi sul fatto che, davvero, gli Stati europei, Italia in testa, vogliano affrontare il problema avviando un percorso che abbia come punto di arrivo una soluzione al momento non percepibile. A confermare queste impressioni, oltre alle parole dette dalle due leader, c’è il riscontro della riunione di governo di lunedì 15, che ha avuto come risultato la riproposizione di provvedimenti che già nel passato hanno dato scarsi risultati: così sarà finché si manterrà sull’ambito della sicurezza e della repressione un fenomeno che solo chi è accecato dall’ideologia si ostina a ritenere limitato e limitabile.
Ma andiamo per ordine. Sono i molti a leggere certe iniziative politiche come vetrine per spot elettorali “anticipati” (le Europee si svolgeranno a giugno 2024) che rischiano di ingarbugliare ancor di più la situazione. Ciò vale non solo per la Meloni, in quanto anche la von der Leyen sarà candidata con obiettivo la conferma nel suo ruolo attuale. Certi problemi, però, avrebbero bisogno di tutto meno che di essere usati come campagna elettorale, invece di essere letti per quello che sono: fenomeni di portata globale che coinvolgono persone in fuga da situazioni così tragiche (guerre, carestie, cambiamenti climatici, neo colonialismo) da spingere chi vi si trova coinvolto a rischiare anche la vita pur di allontanarvisi. Ha senso allora parlare di illegalità? Sì, ma contrariamente a quanto propinatoci da certi politici, l’illegalità va cercata sull’altra sponda: in quanti lucrano su sofferenze e bisogni di chi è in difficoltà, detenendoli nei campi di concentramento, stipandoli a costi assurdi su barchini per valutare i quali, in quanto ad affidabilità, non c’è bisogno del giudizio di un lupo di mare. A fronte di una tale tragedia, i governi europei, non riescono a trovare un accordo per assicurare accoglienza a chi sbarca, pur salvaguardando la sicurezza di chi accoglie. Da mesi si discute del superamento dell’accordo di Dublino e il nuovo “Patto per la migrazione e l’asilo” è prigioniero di lungaggini che fanno dubitare che possa mai arrivare a conclusione.
Questa aria ostile non si è manifestata in occasione dell’arrivo negli Stati Ue di milioni di ucraini in fuga dalla guerra: allora pesa davvero il colore della pelle e alla fin fine è tutta una questione di razzismo? Ad oggi, nel 2023 il totale degli sbarchi è salito quasi a quota 130.000. Molti di più degli ultimi anni, ma tra il 2015 e il 2017 erano su cifre simili e non hanno mandato l’Italia a rotoli. Quanto al fatto di considerare il nostro Paese il “campo profughi dell’Europa, giova ricordare che da inizio anno, nell’area Schengen, sono state presentate circa 500mila domande di asilo, e quelle che riguardano l’Italia sarebbero attorno al 20%. Non va, peraltro, sottovalutato il significato della visita delle due statiste come gesto di considerazione nei confronti dei lampedusani che da tutto questo hanno la vita stravolta. Ma veniamo alle proposte emerse dal Consiglio dei ministri. C’è la conferma che il problema migratorio continua ad esser considerato in prevalenza, se non soltanto, come emergenza legata all’ordine pubblico: un errore che abbiamo stigmatizzato più volte nel passato. In più, la prima impressione è che si stiano riproponendo misure già dimostratesi inutili se non fallimentari (vedi governi Conte-Salvini); quelle che comportano qualche novità potrebbero incappare nell’accusa di violazione dei diritti umani tutelati dalla nostra Costituzione. Così è per il prolungamento a 18 mesi della detenzione nei Centro di permanenza per i rimpatri (Cpr) per gli immigrati colpiti da espulsione; un provvedimento molto difficile da attuare per la difficoltà di accordi con i Paesi di origine. Inoltre, tali centri offrono a quanti vi sono detenuti condizioni peggiori di quelle offerte dalle carceri. L’effetto deterrenza di tale misura nei confronti degli sbarchi, inoltre, è tutta da dimostrare. Ribadiamo: non accoglienza ma repressione. Triste anche il capitolo del contrasto alle partenze. Si fanno accordi con l’autocrate Saïed Tunisia perché trattenga i profughi (è risaputo in quali condizioni ciò avvenga) e si riconosce quello Stato come “Paese sicuro”. Si torna a parlare dell’intervento della Marina militare per il pattugliamento del Mediterraneo. Non si sa ancora se per respingere o assistere i natanti: potrebbe essere una riedizione dell’operazione “Sophia”, che, oltre a svolgere un’azione di sorveglianza, trasse in salvo tante persone. Fu abrogata da Conte 1, vice-premier Salvini: potrebbe essere rispolverata per rassicurare l’opinione pubblica? Non si parla di strutture di accoglienza pubbliche o private né, men che meno, di corridoi umanitari. Aspettiamo maggiori dettagli per un giudizio definitivo ma i presupposti non lasciano molte speranze.
Antonio Ricci