E se provassimo a leggere la ripresa del Pil (Prodotto Interno Lordo, la ricchezza economica creata in Italia nell’arco di un anno) con l’incremento delle ore lavorate? Con l’aumento dell’occupazione e degli indicatori di fiducia? Fino a che punto, e con che tempi, l’indicatore primario si riflette in un aumento del benessere di chi contribuisce al rimbalzo e sulle categorie più fragili, quelle contrattualmente deboli o prive di ogni garanzia?
Il Pil in ripresa è una gran bella notizia (a fine anno è atteso un +5% circa), più concreta dell’evoluzione finanziaria di una Borsa al rialzo per i tassi di interesse bassi e i grandi flussi di denaro in cerca di guadagni. Eppure la schiarita non basta a trascinare un miglioramento reale percepito.
Sono altri gli indicatori da seguire, ad esempio l’occupazione e anche i consumi delle famiglie che non sono sinonimo di spreco. Più che mai, dopo la grande gelata, saranno soprattutto acquisti di sostituzione. Un’automobile, un frigorifero, migliorie per la casa.
Nella lunga e non conclusa pandemia, sono state rinviate scelte ancor più rilevanti come l’avvio di nuove famiglie e la gioia dei figli. Possono bastare due dati: nel 2020 sono nati 404mila bambini, record storico negativo dall’Unità d’Italia. I consumi finali delle famiglie sono calati nello scorso anno del 10,9% la maggior contrazione dal Dopoguerra. Chi ha potuto ha risparmiato, per scelta o per l’impossibilità di viaggiare, frequentare cinema o teatri e vivere tanta altra parte della normalità degli italiani.
Un buon rimbalzo del Pil dovrà recuperare i 470mila lavoratori che, pur nel miglioramento dei dati a giugno, mancano rispetto al febbraio 2020. Dato carente per difetto perchè non comprende le tante attività saltuarie, più o meno ufficializzate, che alimentavano famiglie dimenticate dai ristori. Nuclei a rischio povertà che hanno trovato supporto nelle attività di assistenza o dai prestiti intrafamiliari.
Dall’aprile 2020 al giugno 2021 sono state autorizzate 6 miliardi di ore di Cassa integrazione, indispensabili per imprese e contrattualizzati. Ma non è lavoro. Dopo la pandemia, con la spinta degli investimenti e dei flussi di denaro europeo in arrivo, l’attività produttiva dovrà riguadagnare normalità gestendo un’accelerazione digitale che non sarà indolore. Le imprese chiedono di superare il blocco dei licenziamenti che tanto ha aiutato nell’emergenza. Senza la rete di protezione, gli indicatori di occupazione e disoccupazione (comprese le voci degli inattivi e inoccupati) segnaleranno mese per mese la qualità vera della ripresa.
Paolo Zucca – Agenzia SIR