Santa Sofia e i nazionalismi religiosi

Haghia SophiaSanta Sofia e i nazionalismi religiosi A Istanbul si sta scrivendo un nuovo capitolo delle relazioni tra mondo islamico e mondo cristiano e, sullo sfondo della questione religiosa, si sta verificando il ritorno ad una relazione tra religione e politica più stretta (e problematica) di quanto oramai siamo abituati a osservare, almeno nel mondo occidentale.
Al centro dell’attenzione è la Basilica di Santa Sofia, che tornerà ad essere luogo di culto islamico per volere del governo turco. Dedicato alla sapienza di Dio (Sophia), dal 537 al 1453 l’edificio fu chiesa cristiana (cattolica di rito bizantino e poi ortodossa, dopo lo Scisma d’Oriente del 1054). Divenne moschea nel 1453, quando l’Impero Ottomano conquistò Costantinopoli e tale rimase fino al 1931.
Dunque Erdogan ha riportato la basilica ad una funzione già assunta per 5 secoli, interrotti soltanto dalla scelta di Atatürk di laicizzare la nuova Turchia repubblicana, elemento che portò alla trasformazione del tempio in un museo nel 1935.
30santasofia1Papa Francesco si è limitato a manifestare informalmente il proprio dolore per la scelta, non spingendosi oltre, sapendo che la questione assume complessi caratteri di politica interna e internazionale: si va dalle provocazioni alla Grecia ortodossa, storico rivale dei turchi, ai segnali a Trump e alla sua decisione di spostare nella città santa di Gerusalemme l’ambasciata presso Israele, fino alla politica interna di re-islamizzazione di uno Stato che fino all’arrivo di Erdogan faceva della laicità la sua cifra costitutiva. La prudenza del Vescovo di Roma, che segue le complesse vicende mediorientali con discrezione tramite la diplomazia vaticana, non è la pavidità o la cedevolezza al mondo di cui lo accusa costantemente il magmatico fronte del cattolicesimo conservatore.
Piuttosto, con le manifestazioni antiturche dei giorni scorsi, sostenute come oramai di consueto dalla destra politica italiana, queste frange cattoliche certificano tutte le loro contraddizioni. È del tutto evidente, infatti, che Erdogan intende fondare la Turchia su un nazionalismo che recupera la tradizione e la cultura dell’Impero Ottomano e che assuma una forte impronta confessionale: è sorprendente che contro questo disegno manifesti la propria ostilità quell’insieme di gruppi che non perde occasione per propugnare il cristianesimo come elemento identitario di un nuovo nazionalismo sovranista ed antieuropeo, che utilizza la tradizione (con la t minuscola) cattolica contro chi è portatore di qualsiasi cultura religiosa differente, che rispolvera i fasti dei regnanti cristiani e dei Papa-Re e che vorrebbe che lo Stato assumesse norme giuridiche coincidenti con quelle della morale cristiana.
Tra la visione della società di queste frange e quella del leader turco c’è una inconsapevole assonanza che unisce quanti, indipendentemente dalla diversa fede, vogliono che le religioni occupino lo spazio pubblico, non per testimoniare ma per regnare, non per costruire ponti di dialogo tra di loro e con il mondo contemporaneo ma per dividere e contrapporre l’umanità.

(Davide Tondani)