Vasco Bianchi e il carisma della consapevolezza

Nel 40° anniversario della scomparsa dell’insegnante, uomo di cultura e amministratore pontremolese. Il suo lavoro per la conoscenza del periodo più felice della storia della città

21vasco_bianchiPrendere atto che il prof. Vasco Bianchi ci ha lasciati quarant’anni fa ha fatto riemergere sentimenti, sensazioni e momenti esaltanti, aprendo un varco senza fondo sul tempo trascorso insieme, sulle cose fatte, sui progetti ipotizzati, sulle consapevolezze alle quali rivolgere la dovuta attenzione per dare un impulso se non nuovo, almeno diverso e ricco di stimoli intriganti per il futuro.
Impossibile ora riscrivere quella storia, con i suoi protagonisti, le avventure, le presunzioni, le incertezze, le prospettive, i sogni, con la coscienza, però, che proprio Vasco, specie per noi decisamente più giovani, era un punto di riferimento che scioglieva ogni incertezza, portandoti ad ipotizzare l’impossibile perché, comunque, alla fine, in un modo o nell’altro, saremmo giunti al risultato. Alle nostre follie giovanili, fatte di assurdità piene di senso, la presenza di Vasco aggiungeva il carisma della consapevolezza, quello che ti permetteva di capire cosa era veramente fattibile al di là delle possibilità oggettive.
Come non ricordare le paure di azzardare, sapendo che tutto ha un costo e che non disponi di niente e tutto va costruito. Ricordo gli sguardi smarriti di Mauro Bertocchi e il sorriso imperscrutabile di Vasco quando mettemmo in piedi l’ipotesi di stampare il Campi. La parola d’ordine: andiamo avanti, poi si vedrà!
21Vasco_Bianchi1Ma era solo l’inizio, perché quando partì il progetto di realizzare a stampa, finalmente, gli studi fatti sul Barocco pontremolese, il quadro era ancora più complicato: non era più una questione di soldi, ma di qualità. Come scordare i viaggi incredibili nelle lande padane, chiusi dentro alla Cinquecento, obiettivo da definire solo sul posto perché occorreva dare un senso a quanto proposto dai documenti e vederne gli effetti. L’idea, però, era chiara e partiva dalla consapevolezza che per il prof. Bianchi il quadro storico che aveva posto le fondamenta al momento più esaltante della storia di Pontremoli era ormai definito. Si trattava solo di chiudere, nel possibile, i tanti buchi per dare un valore sempre più concreto a quanto era stato già assemblato.
Le sue riflessioni sul rinnovamento edilizio di Pontremoli tra Sei e Ottocento, a corollario della valutazione critica di Rossana Bossaglia sull’importanza del patrimonio artistico pontremolese nel quadro nazionale, si ponevano come cornice ideale per dare un senso concreto ad una vicenda che stava emergendo lentamente dalle brume del tempo e che gli sforzi del Bologna, di don Marco Mori, di Brunero e di Zucchi Castellini avevano solo sfiorato, acuendo semmai il desiderio di saperne sempre di più. Così, quella avventura, possibile solo per gli entusiasmi che aveva creato in tanti, chiaramente a parte del tesoro allora quasi invisibile che Pontremoli nascondeva, mise le basi con una prima proposta che, era chiaro, sarebbe stata solo l’antefatto di qualcosa da costruire al possibile nella sua completezza.
Di questo il prof. Bianchi era tanto consapevole da stimolare al massimo gli ardori che avrebbero portato alla riscoperta di Pietro Cocchi, alla valorizzazione dell’enorme patrimonio documentario e librario della città, fino a concepire quell’incredibile progetto che fu la mostra dei paesaggisti pontremolesi del Settecento che purtroppo non riuscì a vedere, ma che proprio in sua memoria permise di aprire le porte più difficili, permettendo ai tanti, più o meno scettici, di capire che il Barocco Pontremolese non era uno sfizio di pochi, ma qualcosa di concreto ed ancora di più, come avrebbero permesso di capire gli studi a venire.
Non c’è dubbio, però, che la sua assenza abbia pesato non poco, specie per dare un’organicità ancora più completa al fenomeno politico che determinò il passaggio di Pontremoli alla Toscana, per valutarne le implicanze nel percorso storico dell’antico borgo medievale costretto a reinventarsi per le nuove tendenze emergenti, per chiarire, lui per natura storico del sociale, l’evoluzione di una società come quella pontremolese, disposta a cambiare pelle pur di essere al passo con i tempi e senza troppi traumi. (Luciano Bertocchi)

Due mandati da Presidente del CdA:
l’impegno per l’Ospedale di Pontremoli

02Inaugurazione_Ospedale_Pontremoli1978dA sorpresa nel 1971 (rinnovato nel 1976) il Consiglio Comunale nominò Vasco Bianchi presidente a volontariato del Consiglio di amministrazione dell’Ospedale di Pontremoli: era “forestiero” e fuori dalla sezione della DC. Uomo di lettere, e forse proprio per questo, dimostrò coi colleghi di giunta capacità amministrative, creò collaborativi rapporti con tutto il personale in armonia e rispetto.
Nella relazione consultiva del primo mandato si legge che “senza presunzione, come tutti possono constatare, il nostro ospedale ha fatto un salto di qualità”. Particolare attenzione fu rivolta a formare personale sempre più qualificato, all’acquisto della strumentazione, alla costituzione di nuovi reparti e servizi. I medici furono portati a 21 unità, assunti con regolari concorsi, poterono seguire corsi di perfezionamento e cicli di proiezioni scientifico-didattiche. L’organico passò a 150 dipendenti con prospettive di incrementi. Furono tenuti corsi annuali per infermieri generici per passarli a professionali e fu data occasione a giovani di inserirsi nel mondo del lavoro.
Molti medici si prestarono gratuitamente a insegnare protocolli scientifici e tecnici. Fu costruito il nuovo edificio, impresa resa necessaria dalla nuova configurazione giuridica degli ospedali come centri propulsori delle USL e dal bisogno di una strutturazione più moderna. Non più concepibili le lunghe corsie del vecchio convento adattato a ospedale per l’epidemia di tifo nel 1818. Pur con l’aggiunta di un nuovo corpo non rispondeva alle moderne necessità igienico-sanitarie. L’impegno a costruirne uno nuovo era stato delle amministrazioni presiedute da Mario Nadotti e Antonio Pelliccia.
02Inaugurazione_Ospedale_Pontremoli1978cLa Cassa Depositi e Prestiti il 30 dicembre 1969 concesse un mutuo per il primo lotto. I lavori per le opere murarie partirono il 13 gennaio 1971 affidati per concorso alla ditta Schiavi di Bossico (BG). Nel 1973 furono appaltati a 32 ditte gli impianti speciali, il 15 luglio 1978 fu inaugurato il principale lotto a sei piani. Ne saranno costruiti altri due. Fu un lavoro impegnativo seguito assiduamente anche in Regione dal presidente e dal direttore dei lavori ing. Fausto Cerutti e con la collaborazione di tutto il personale con competenza e abnegazione.
Fu un lavoro di squadra con mani pulite: nessuna denuncia, nessun ammanco. Un corpo del vecchio edificio è ora divisione geriatrica RSA. Furono costituiti un centro di cura e di prevenzione del diabete, uno per la cura delle deformazioni della colonna vertebrale. Fu allestito, grazie al lascito di 50 milioni di lire di Francesco Bologna, il servizio di rianimazione e dell’unità coronarica affidato ai dr. Mario Beltrami e Luigi Tosi con applicazione di stimolatori cardiaci; purtroppo ora chiusi o incorporati in altro reparto. Molto bene funziona il centro trasfusionale allestito in collaborazione coi “Fratres”. Fu acquistata la strumentazione per l’endoscopia del tubo digerente.
Grandissimo merito è la creazione del Centro emodialitico ad assistenza limitata, inaugurato il 9 febbraio 1981 dalla presidente dell’USL 1 Malpezzi. Nell’intervista a Giulio Armanini per il C.A. i medici Franco Bechini e Mauro Aloisi responsabili del servizio dissero che “l’iniziativa non avrebbe avuto seguito se non ci fosse stato dal 1975 il costante e incisivo interessamento del presidente prof. Vasco Bianchi a cui si deve il merito di aver ottenuto nel giugno 1979 l’autorizzazione”, già malato continuò ad operare per dare il servizio eccellente a lui intestato a una media di trenta pazienti: oggi pare che sia la ragione principale perché l’ospedale non venga chiuso.