
Mezzo secolo fa, il 10 aprile 1970, si consumava la clamorosa separazione del quartetto più famoso del mondo

Non importa quello che vi dicono, i Beatles non esistono più (io e John, almeno, stiamo perseguendo le nostre carriere individuali). Ritengo che la sola cosa da fare considerate le circostanze sia cessare la collaborazione e che i soldi e il controllo artistico vadano ad ognuno di noi individualmente… Così scriveva Paul McCartney, l’11 settembre 1970, ai titolari della EMI.
La lettera originale esposta nella bellissima mostra “Revolution – Musica e ribelli 1966-1970 Dai Beatles a Woodstock” allestita a Milano alla Fabbrica del vapore dal 2 dicembre 2017 al 4 aprile 2018. L’annuncio della fine dei Beatles è di qualche mese prima e cioè del 10 aprile 1970 ed è sempre Paul McCartney ad affermare di non far più parte del quartetto di Liverpool.
Ai loro numerosissimi fans tale scelta risulta subito incomprensibile e per certi versi scioccante. Tanto più che nel settembre 1969 era uscita la penultima fatica dei Beatles, quel bellissimo LP Abbey Road, e che nel maggio dell’anno successivo Let it be aggiunge rabbia e delusione per quella inaspettata decisione annunciata da McCartney.
A ben guardare la copertina del disco è già il manifesto della separazione, poichè ciascun Beatles guarda in una direzione diversa da quella degli altri componenti del quartetto. Come dire che in fondo erano già solisti, con un proprio orizzonte a cui guardare, con proprie idee, con un proprio repertorio, con una propria visione della vita e della musica.
Il quartetto che cambiò
il corso della musicaIn solo otto anni di attività hanno cambiato il corso della musica rock e pop come nessuno prima e nessuno dopo di loro. Dal 1962 al 1970 incidono oltre duecento canzoni, dodici album, quasi tutti pietre miliari del rock (per chi scrive sono imprescindibili tutti quelli da “Rubber Soul” in avanti).
Oggi non è possibile pensare il beat, il rock, la psichedelia senza il fondamentale contributo del quartetto di Liverpool. Una rivoluzione musicale che è maturata all’interno della loro stessa carriera, iniziata con le “semplici” canzoni d’amore con brani di tre, massimo quattro accordi, per poi rivoluzionarsi dal 1965-66 in avanti, con la musica che diviene più sperimentale ed innovativa con un impasto di psichedelia, proto hard rock ma anche richiami di musica classica, con testi più profondi e di carattere sociale (anche grazie al grande influsso che ebbe sui quattro la scoperta di Bob Dylan) il tutto reso ancora più creativo dall’innovativo uso della sala di registrazione.
Ma forse la rivoluzione più importante che hanno compiuto è stata quella di essere stato il primo gruppo di ragazzi che cantava per dei ragazzi. Diventando così il simbolo, la voce di speranza, l’emblema di una generazione che sognava la pace e l’amore nel mondo. Il 10 aprile 1970 terminava la loro storia, era pronto ad iniziare il loro mito. (r.s.)
Avvertono probabilmente di voler recuperare una propria dimensione individuale. Le idee non mancano, basti pensare al triplo LP di George Harrison All things must pass per capire che c’è ancora tanto da esprimere musicalmente. Sulle cause di questa clamorosa separazione si sono spesi critici musicali e interpreti beatlesiani: chi ne fa una questione di soldi, chi di leadership e di visioni diverse all’interno del gruppo, chi alla eccessiva presenza/ingerenza della compagna di Lennon, Yoko Ono.
Poco importa, sta di fatto che i Beatles si sono sciolti in quel fatidico anno Settanta e come erano entrati, irrompendo sulla scena musicale degli anni Sessanta, sconvolgendola e imponendo la loro musica per arrivare anche a definire una vera e propria moda e una nuova cultura, così in quell’aprile del 1970 escono dunque di scena chiudendosi alle spalle la porta, quasi a chiudere un mondo che era fatto di speranze, utopie, sogni e desiderio di una società migliore.
Una nuova stagione si sta preparando e il campo musicale lasciato libero dai quattro di Liverpool è destinato ad essere immediatamente occupato da nuovi gruppi musicali. Con l’avvento di Led Zeppelin, Pink Floyd, Deep Purple, Doors, per citare alcuni dei protagonisti della nuova scena progressive, i Beatles sembrano quasi dimenticati, eppure diversi musicisti dichiareranno per diversi anni il loro debito verso i Fab Four.
Scrive il critico musicale Gino Castaldo Assenti ma sempre incredibilmente presenti. I cinquant’anni passati senza Beatles sono il tempo della più lunga celebrazione mai consumata dalla cultura pop.
Di questa presenza sono testimoni molti giovani di oggi che nonostante le varie suggestioni musicali, talvolta caratterizzate da eccessi che con la musica hanno poco a che fare e dopo aver attraversato la terra delle trasgressioni sonore e i mari del punk, del grunge, dell’heavy metal, giungono al porto di Liverpool dove John, Paul, George e Ringo li attendono con le loro canzoni che nonostante il passare del tempo continuano ad affascinare e a suscitare emozioni.
Fabrizio Rosi