La pace separata tra la nuova Russia bolscevica e gli Imperi centrali, firmata nella primavera 1918 a Brest-Litovsk il 3 marzo, permette ai tedeschi di portare tutte le forze sul fronte occidentale e scatenare una grande offensiva passando dalla logorante guerra di posizione in trincea alla guerra di movimento. I tedeschi, che non avevano mai subito vere sconfitte, hanno ora superiorità numerica (193 divisioni), fanno centinaia di migliaia di prigionieri, catturano circa 2500 cannoni.
Ma dal 28 marzo gli Stati maggiori franco-britannici si riorganizzano e resistono sotto l’unico comando supremo del francese Foch. Per contrastare il gigantesco urto offensivo tedesco, gli americani intensificano l’invio di truppe.
Nelle battaglie lungo i fiumi Somme e Marna, nel Nord-Est tra Francia e Belgio, in uno spazio limitato si compie una gravissima carneficina; i tedeschi vincono ma non sfondano, il comandante supremo Ludendorff attacca al centro ma le ali avanzano più lente, non raggiunge l’obiettivo di arrivare a Parigi o a Calais e separare i francesi dagli inglesi.
Il colpo decisivo comincia il 15 luglio sulla Marna; Foch contrattacca con le sue riserve e obbliga i tedeschi ormai esausti a indietreggiare. Inglesi, francesi, statunitensi hanno schiacciante superiorità di mezzi, impiegano carri armati e aerei e i tedeschi subiscono la prima grande disfatta (ad Amiens 8-11 agosto), i loro cedimenti sono sempre più estesi e i soldati si ribellano, tanto da indurre il kaiser Guglielmo II a trattare per la pace con la mediazione dell’Olanda neutrale.
Ma gli alleati, forti della loro superiorità, volevano una vittoria assoluta e la capitolazione totale degli Imperi centrali, che la Germania non vuole accettare. Aggrava la situazione dei tedeschi il collasso dei loro alleati su altri fronti: l’Impero austro-ungarico da ottobre vedrà la sua dissoluzione, la Turchia è travolta in Palestina e Siria dagli inglesi aiutati da forze arabe guidate da Lawrence, la Bulgaria capitola.
Quando parte l’offensiva generale, Inglesi e francesi possono contare anche su un milione di soldati americani, sul loro aiuto gigantesco in armamenti, viveri, medicinali, radiofonia e molti dollari. Senza darsi al panico, i tedeschi retrocedono in modo disciplinato, ma la catastrofe militare porta conseguenze gravi nella politica interna.
Fallisce il tentativo di riforme in senso democratico del nuovo governo di Max von Baden e di avvio di trattative di pace, per responsabilità principale del kaiser che rifiuta l’abdicazione, che avrebbe forse salvato un Impero che era nato nel 962 con l’incoronazione di Ottone I di Sassonia, più di mille anni prima.
La guerra sul fronte italiano è concentrata sul Piave e nel mar Adriatico contro gli austriaci. L’esercito respinge i loro ultimi attacchi fino alla vittoria finale, è firmato l’armistizio il 3 novembre a villa Giusti presso Padova; l’11 novembre lo firma la Germania diventata repubblica con governo socialdemocratico e il kaiser fugge in Olanda.
La catastrofe di una guerra detta “grande” tra Imperi centrali e una coalizione di ben 27 Paesi ha una contabilità terribile, stando solo ai combattenti, quasi dieci milioni le vittime. Tutte le risorse degli Stati vi sono state coinvolte, la società militarizzata, aumentata la burocrazia, la coscrizione resa obbligatoria e di massa (a marzo 1918 vanno in guerra “i ragazzi del ‘99”), la mobilitazione si era fatta totale, la produzione pianificata sulle necessità belliche, massiccia la propaganda, molto il controllo sociale, praticata la censura politica, molta fame e il flagello della febbre spagnola.
Maria Luisa Simoncelli