Fivizzano: il bucamon nella  valle del Lucido

Il monte San Giorgio, l’antico paese di Aiola e un curioso toponimo

Le rovine dell'eremo di San Giorgio a monte dell'abitato di Aiola
Le rovine dell’eremo di San Giorgio a monte dell’abitato di Aiola

San Giorgio è il nome del monte che sovrasta la Valle del Lucido. Su di esso, a metà costa, distribuito su tre “dossi”, sorge il paese di Aiola con la sua antica chiesa, sul cui portale è collocato un altorilievo raffigurante San Giorgio che trafigge il drago, portato lì dall’eremo fondato da Filippo Caldani, l’Innominato, e soppresso nel XVIII secolo – sulla sommità se ne possono vedere ancora i ruderi-. Da Aiola, partendo da Equi, passa lo storico sentiero che giunge fino a Vinca, fiancheggiando i resti del Castellaccio, di fronte a Monzone Alto, che si erge sulla sponda sinistra del Lucido.
Tutti nomi e luoghi noti a chi vive in questo territorio, agli escursionisti e agli storici. Meno conosciuto, ed anche un po’ misterioso, è sicuramente il toponimo bucamon, che pur ha a che fare col monte e che è stato oggetto di un approfondito studio etimologico da parte di Romolo Formentini, frequentatore del luogo anche perché la moglie era di Aiola. Il nome ricorre 3 volte in un ristretto territorio: “vicino ad Aiola, sulle pendici del monte Sagro, nell’alta Valle del Lucido… ed è sempre riferito ad una cavità del suolo… E mai ad altro” . Inoltre, il nome, nell’opinione generale, spetterebbe legittimamente alla sola grotta che si trova fra Aiola e il castellaccio, mentre alle altre due sarebbe stato esteso successivamente, non si sa quando.
Si affaccia su uno strapiombo, ma è raggiungibile per mezzo di un viottolo sicuramente “opera dell’uomo”. I ragazzi del paese riuscivano ad arrivarci per visitarla, mentre in tempo di guerra era un sicuro rifugio. Su una parete, vicino all’imboccatura, c’è una piccola cavità a forma di vaschetta, attribuita ad una manifestazione della Madonna.

Qual è l’etimologia della parola?

Formentini ha dapprima pensato a “bucamonte”, scartando, però, subito l’ipotesi, perché non “spiegabile” per un toponimo e troppo foneticamente modificata. Potrebbe avere una derivazione da buco-buca- col suffisso accrescitivo amon – da aron: allocco -? O derivare dal passaggio buco-bucamo-bucamon, giustificato dalla analogia con forame? Se il suffisso fosse un accrescitivo, però, come dovrebbe essere definita la buca di Equi, molto più grande? Vengono, pertanto, scartate tutte le ipotesi linguistiche, per collegare la ricerca all’animo collettivo delle popolazioni primitive e a giustificazioni storico-archeologiche. Ferma restando, quindi, la legittimità di “buca” – che da sola denomina la caverna di Equi-, il suffisso mon- ritiene Formentini-potrebbe derivare da mond, parente dell’etrusco – latino mundus? Mundus era una fossa rituale, una specie di pozzo ricavato nel terreno destinato alla futura città, dentro cui si gettavano zolle di terra, simbolo di presa di possesso, e primizie, gesto propiziatorio per gli dei Mani… Sopra veniva eretto un altare in pietra quadrata per il fuoco sacro… Il rito, prima che dai Romani, veniva praticato dagli Etruschi e dagli abitanti delle terramare, come dimostrano gli scavi archeologici. Erano queste fosse – secondo le teorie e gli studi di illustri storici- che mettevano in comunicazione il mondo sotterraneo dei Mani con quello dei vivi. Questo principio religioso trova corrispondenze ed analogie, oltre che col mondo etrusco, con quello indiano. Avrebbe, quindi, origini indoeuropee. (a.f.)

A poca distanza si può ammirare “un’antica maestà della Vergine con Bambino, raggiunta, fino a qualche decennio fa, dalle rogazioni propiziatorie”. Nonostante questa sacralità, la tradizione vuole che, nel luogo, “ci si risenta”, che vi compaiano, cioè, le ombre dei morti, per altri, addirittura, nella loro corporeità. D’altra parte non è stata viva, fino a poco tempo fa, la superstizione di lasciare in ordine, nel giorno del culto dei morti, il loro letto, affinché vi giacessero confortevolmente i propri famigliari defunti?
Per “restare in tema” c’è anche chi unisce alla parola bucamon “dei corvi”, considerati, come gli avvoltoi, simbolo di morte, di presenza di cadaveri. Ma la grotta di Aiola può essere ritenuta luogo sacro destinato al culto dei morti e, poi, alle pratiche propiziatorie di un buon raccolto?
Gli antichi liguri seppellivano i morti nelle caverne dove abitavano, che, in seguito, divennero luogo di culto degli antenati, quando le abbandonarono per il moltiplicarsi degli abitatori. E quando le grotte erano insufficienti, se ne creavano di artificiali, come il mundus greco–romano o le cupules -rappresentazioni simboliche delle grotte-, diffuse nell’Europa occidentale.
Nelle cupules venivano posti, a scopo propiziatorio, i prodotti dei campi e il vino – non il sangue dei sacrifici -, come all’imboccatura delle caverne; esse richiamano ad analogie con la “leggenda della Madonna”, quasi ad una sostituzione della Gran Madre della religione eneolitica con la Madre di Dio. Il mundus viene anche accostato al disco di ferro degli sciamani, che hanno bisogno di stare sempre in comunicazione coi morti, dai quali traggono i loro poteri.
E lo sciamano – in Nord America, ad esempio- si inabissa in un foro della terra per compiere il suo viaggio verso i morti. Si può, pertanto, giungere alla conclusione che “fosse terramare, mundus etrusco – romano, cupules, scudi degli sciamani – ma anche la religione dei Greci – si riallacciano alla grotta sacra e al culto dei defunti… e che questo culto era diffuso dall’Europa all’Asia, realizzando quella grande unità religiosa dell’età neo-eneolitica sostenuta da molti storici?
Si può identificare il culto dei morti col culto della Terra, che accoglie il morto nel suo grembo, dove è raggiunto dalle preghiere e dai doni dei viventi e da dove manda le sue benedizioni su loro?”. Insomma, il rapporto fra grotte, caverne, culto dei morti, oggetti votivi è riscontrabile in molti e diversi luoghi, fino a dimostrare plausibile l’accostamento grotta-bucamon-mundus, in quanto costituisce una base su cui costruire una “ visione del passato”, alla cui luce possono trovare giustificazione le testimonianze archeologiche o documenti di altro tipo.
Per questo Romolo Formentini invita a compiere ulteriori ricerche in merito. Per concludere, una nota di attualità, che non ha nulla a che fare con bucamon, con il culto dei morti e con il meticoloso lavoro di Formentini: è certo che San Giorgio è un monte “gruviera”, in quanto numerosissime ed inesplorate sono le grotte, piccole o grandi, che vi si incontrano. Il loro miglior conoscitore, il geometra del Comune Massimo Giorgini di Monzone Alto, ne ha fotografato alcune anche pochi giorni fa… C’è materiale di ricerca per tutte le scienze!

Andreino Fabiani