Quegli “Scrittori al veleno” nelle cinque terre

Nel variegato panorama della letteratura italiana contemporanea il lettore si costruisce percorsi per cui le preferenze si orientano su autori che pur non costituendo clamorosi momenti di successo commerciale rivelano caratteristiche peculiari tali da permettere una frequentazione tanto soddisfacente quanto fedele. Grugni, Di Consoli, D’Alessandro, Parrella, Avallone, Dara, Di Monopoli, Argentina, Greco, Marani, Ballestra e chissà quanti altri, per lo scrivente sono punti di riferimento costante ed appagante.
A questi appartiene anche Nicola Lecca che dopo l’esordio presso Marsilio con “Concerti senza orchestra” (1999), finalista dello Strega, con “Hotel Borg”(2006 ), “Il corpo odiato” (2009), “La piramide del caffè” (2014), “I colori dopo il bianco” (2017), “Il treno di cristallo” (2020) ha saputo costruire un percorso caratterizzato anche dalle variegate variazioni ambientali che hanno caratterizzato il suo percorso umano tanto da poter essere definito uno scrittore nomade che a lungo ha abitato a Reykjavik, Visby, Londra, Venezia e Vienna a partire dalla Sardegna dove è nato nel 1976.
In questo suo ultimo “Scrittori al veleno – mistero alle cinque terre” (Mondadori pagg. 204 euro 18,50 ) siamo a Manarola, dove in Villa Solitudine, un centro internazionale a tutela della poesia e della letteratura, sono ospitati cinque scrittori per un periodo dedicato allo studio ed eventualmente alla produzione letteraria che potrebbe scaturire dal confronto che si suppone possibile viste le caratteristiche che distinguono gli ospiti.
Una cinquantenne, Antonina Pistuddi, che in gioventù ha ottenuto col suo primo romanzo un vistoso risultato ma che al momento campa di collaborazioni giornalistiche, e quattro giovani talenti dalle variegate caratteristiche. Si va da Alvaro Moret autore di un bestseller che propone una guida per potenziali influencer a Lizzie Eden, parlamentare inglese con un passato da escort, rivelato in memoriale, per finire con Arlanda Levin, cantante svedese di un romanzo confezionato da altri sul quale è autrice solo della firma e Julien Corbusier, modello francese di grande bellezza dipendente dai farmaci ed autore di una raccolta di poesie di ignobili contenuti.
Antonina odia da subito la compagnia che deve subire e quando i quattro giovani muoiono per aver mangiato funghi velenosi, da lei non raccolti ma cucinati, si scatena la bagarre giudiziaria.
L’inizio del romanzo è costituito proprio da una lunga intervista di una famosa giornalista inglese della BBC alla donna, occasione per un confronto molto acceso sul senso del successo di opere prodotte con ogni mezzo per ottenere consenso, successo e denaro pur essendo del tutto prive di qualsiasi contenuto appena decente nei confronti di una tradizione che Antonina difende con ogni mezzo possibile.
Dopo la lunga parte dedicata all’intervista ci rendiamo conto che il “giallo”, pur esistendo, non è l’obiettivo primario ma l’occasione per riflettere su quanto sta accadendo (non solo in ambito artistico per la verità) in un mondo nel quale la provvisorietà e l’insipienza la fanno da padroni nei confronti di qualsivoglia impegno che consenta possibilità di confronto e di crescita attraverso strumenti razionalmente concepiti ed avvalorati.
Tra il tragico ed il grottesco con meravigliose accensioni di motivata cattiveria, lo scrittore, in una ennesima variazione dei toni, ci propone uno sguardo agghiacciante sul nostro presente e sul futuro, proponendo una riflessione non banale sul mondo delle lettere e della comunicazione e non solo. Comunque tranquilli: come in ogni buon giallo ci saranno anche le risposte necessarie anche in questo senso

Ariodante Roberto Petacco