“E la gente di Sarajevo impazzì davvero di gioia”

Tra quei 500 “folli” c’era anche il lunigianese Paolo Zammori

Sarajevo: il palazzo del parlamento in fiamme durante la guerra di Bosnia

“A Sarajevo ci fu un’accoglienza straordinaria da parte di gente incredula, che ci aspettava ma che non credeva che ce la potessimo fare”: così ricorda quel giorno di trent’anni fa Paolo Zammori, decine di “missioni” in tanti angoli del mondo tra quei “Beati i costruttori di Pace” tra i popoli oppressi, che siano Curdi o i dimenticati del Congo.
“Ci vollero due mesi per preparare il viaggio a Sarajevo – spiega l’ex sindaco di Filattiera – un viaggio che si trasformò in una vera e propria avventura, frutto di un accordo tra un gruppo ristretto dei ‘Beati’ guidato da persone straordinarie come don Albino Bizzotto e don Alex Zanotelli, ma reso difficile al limite dell’impossibile da una incertezza continua”.
Prima di partire una lunga preparazione, con veri e propri corsi di formazione per essere il più possibile pronti ad affrontare i tanti prevedibili imprevisti. Ad ogni ostacolo nella lunga marcia verso la città interminabili soste e approfondite discussioni sul come proseguire.
“Il metodo della concertazione è stato decisivo – spiega Zammori – eravamo divisi in tanti piccoli gruppi e all’interno di ciascuno si discuteva riportando poi i risultati nella riunione tra i coordinatori. E ogni volta si andava avanti, con lunghe trattive ad ogni nuovo posto di blocco”. L’ultimo ostacolo fu il più alto, il più ripido, il più difficile da superare: Sarajevo era lì, ma all’ultimo momento tutto sembrava poter sfumare.
Il fragile accordo per un giorno di tregua sul quale si era basata la “marcia della Pace” sembrava andato in frantumi. Ma alla fine il potere della parola ha prevalso e quei “folli” sono entrati. “Tra i nostri obiettivi anche quello di portare solidarietà a chi era rimasto in città, di conoscere in prima persona la situazione, avere un contatto diretto con la gente e con le autorità”. “La gente sembrava impazzita: eravamo i primi, dopo mesi, a spezzare un assedio che isolava Sarajevo dal resto del mondo, ad entrare in città – continua – una gioia immensa per quel giorno di pace che portava quelle persone al centro dell’attenzione del mondo, accendendo una grande speranza”.
La mattina dell’11 dicembre la sfilata per le strade, in mezzo ad una città che portava i segni dei bombardamenti, tra i ripari improvvisati dietro i quali gli abitanti transitavano cercando di ripararsi dai cecchini. Poi l’incontro con il sindaco di Serajevo, con il capo del governo, con le autorità religiose. “Siamo ripartiti il giorno successivo: è stata un’esperienza straordinaria – conclude Paolo Zammori – che abbiamo cercato di ripetere l’anno successivo, nel 1993: quella seconda volta eravamo duemila, ma non siamo riusciti ad entrare in città perché la situazione si era fatta ancora più grave. Poi ci siamo tornati nel 1995. E ancora ad ogni decennale da quel 1992…”

(p. biss.)