Adesso basta

Domenica 8 agosto – XIX del tempo ordinario
(1Re 19,4-8 – Ef 4,30-5,2 – Gv 6,41-51)

Splendida e toccante la prima lettura. Parla di Elia, un profeta stanco. Parla di un uomo che sente il peso della vita, che scopre i suoi limiti, che non riesce più a portare il peso della solitudine e dell’incomprensione. Parla di noi, delle nostre fatiche e della tentazione che ci prende quando ci rivolgiamo a Dio e diciamo “Ora basta, Signore! Prendi la mia vita”. Adesso basta, non ce la faccio più, ho fatto tutto il possibile ma la vita è troppo dura, la storia troppo complicata, il peso da portare eccessivo e la mia debolezza evidente. Basta Signore, riprenditi la vita che mi hai donato, riprenditi me, ho fallito, voglio solo riconsegnarti il biglietto di questo viaggio che non appare più promettente. Elia si corica e si addormenta sotto la ginestra, in un sonno che vorrebbe definitivo. Elia è lo sconforto e la delusione. Elia è la vita sconfitta e stanca. Elia si addormenta da profeta, dopo aver rivolto parole amare ma vere a Dio. Elia non dubita dell’esistenza di Dio, è a lui che si rivolge, ma il suo cuore è stanco, la speranza svanita. E noi ci sentiamo parenti di Elia quando la vita appare troppo pesante, il compito che ci era stato offerto troppo gravoso e, soprattutto, siamo Elia quando con lui facciamo i conti con i nostri limiti: “Prendi la mia vita perché io non sono migliore dei miei padri”. Amara e lucida constatazione: i miei limiti Signore sono evidenti, credevo di essere migliore di chi mi ha preceduto, credevo di poterti servire con dedizione totale, credevo che le mie capacità bastassero a cambiare il corso degli eventi invece… sono fragile e peccatore come i miei padri e il risultato del mio agire è fallimentare, non ho cambiato niente. La storia di Elia è la storia dell’uomo, storia di Esodo, storia di deserto da attraversare grazie alla manna, segno di un Dio che ci attrae a sé.
La storia di Elia è la storia di ogni uomo. Rischio mortale è quello di non riconoscere il volto di un Dio che si fa prossimo, rischio mortale è quello della mormorazione, che troviamo nel popolo ebraico nel deserto, che ritroviamo nel Vangelo, che sappiamo riconoscere così bene perché spesso è anche la nostra: sfiducia in un Dio che sembra averci abbandonato, soli, nel cuore di una vita troppo dura. Gesù intercetta le mormorazioni, fa memoria del deserto, richiama la manna e poi parla di Dio: Non mormorate tra voi. Nessuno può venire a me se non lo attira il Padre. È un Dio attraente, è un Dio che chiama, è un Dio che desidera la nostra prossimità. In continuità con l’Antico Testamento. Perché la novità non è nell’amore di Dio ma nel segno vivo della speranza e della sua prossimità: non più solo un angelo e una focaccia, non più solo la manna che non consegna l’eternità, ma Dio stesso che si fa pane vivo per la nostra vita in Gesù: io sono il pane vivo disceso dal cielo. È Gesù il pane che ci alza dalle nostre fatiche. È Gesù la possibilità dei nostri cammini. È il Suo volto la testimonianza visibile di un Dio attraente. È Lui presente quando noi stessi diventiamo Comunione.

don Alessandro Deho’