Le maestà nei paesi e nelle valli delle Apuane

Un saggio sulla devozione nel quinto volume della collana curata da Pietro Marchini e Guglielmo Bogazzi

25maestà_sant_eustachioCurata da Pietro Marchini e Guglielmo Bogazzi, del CAI di Carrara, la collana Borghi paesi e valli delle Alpi Apuane, si compone di cinque volumi ed è stata stampata da Pacini, editore di Pisa. Non è soltanto una guida per escursionisti, ma, come scrivono gli autori, offre la possibilità di compiere “un volo sopra cime irripetibili”.
Nel quinto volume, oggetto di questa recensione, tra i saggi ci piace segnalare quello pensato e scritto da Pietro Donati, già sovrintendente ai beni culturali per la Provincia a Pisa, con competenza sulla provincia di Massa Carrara, e a Genova, con competenza sulla provincia della Spezia, e dedicato alle “maestà”, i manufatti scultorei incastonati sulle facciate di case o sui muri in pietra, o posti nelle cosiddette “marginette” o cappelle che si incontrano, di frequente, nel territorio apuano, e non solo.
L’autore, con un approccio da storico dell’arte, analizza il valore estetico di tali bassorilievi, inferendo considerazioni di natura sociologica e religiosa e correggendo le conclusioni cui sono giunti studiosi che si sono cimentati nello stesso tema.
“La crescente fortuna delle maestà a partire dai primi anni del secolo XVII – scrive – segnala l’emergere di un ceto di mercanti, artigiani e proprietari terrieri che più tardi prenderà coscienza di sé; per il momento, i membri di questo ceto rendono palese il raggiungimento di uno status sociale non disprezzabile – un solido tetto sopra la testa, legna da ardere a sufficienza e una dispensa ben fornita – e, nello stesso tempo, dichiarano la propria adesione ai modelli devozionali vigenti: la collocazione di una maestà è il frutto di una decisione strettamente individuale e per sua devotione è la locuzione che accompagna ossessivamente per circa due secoli, con minime varianti, il nome del committente, soppiantando la più generica formula (ex devotione) che era stata utilizzata nei primi due decenni del XVII secolo”.
Qui l’autore coglie una differenza fondamentale tra queste forme artistiche di “pietà popolare” e “individuale” e il “corpus” di immagini che vengono collocate nei luoghi di culto. “Le maestà sono l’espressione della devozione dei singoli abitanti, dei quali non di rado conosciamo il nome, inciso in basso”, annota lo storico ed aggiunge che “le scelte del singolo devoto sembrano pesare ancor più man mano che ci si addentra nel secolo XVII”.
Se esiste una convergenza iconografica fra le grandi pale d’altare e le maestà, non altrettanto può dirsi per le botteghe degli scultori che le hanno realizzate: non tutte sono riconducibili agli scalpellini di Carrara e dintorni. Alcune, pregevoli, presenti in zone assai remote, manifestano un’autonomia espressiva che ancora oggi desta stupore nel viandante che le incrocia,  magari improvvisamente, nel suo cammino lungo i sentieri apuani.

(R.B.)