Più di 200 attivisti italiani guidati dalla Comunità papa Giovanni XXIII hanno manifestato a Leopoli
Lo scorso fine settimana la Comunità Papa Giovanni XXIII ha guidato una carovana di più di 200 persone, appartenenti ad associazioni e organizzazioni della società civile italiana – tra queste AOI, Rete Disarmo, Focsiv, Pax Christi, ARCI, Libera, CGIL, Nuovi Orizzonti, 6000 Sardine, Legambiente – in un viaggio in Ucraina nell’ambito dell’iniziativa Stop the war now – Facciamo la Pace. Due erano le finalità dell’iniziativa, così come spiegava il manifesto di presentazione: “entrare in territorio ucraino per testimoniare con la nostra presenza sul campo la volontà di pace e per permettere a persone con fragilità, madri sole e soprattutto bambini, di lasciare il loro Paese in guerra e raggiungere l’Italia”.
La carovana, composta da una sessantina di mezzi, provenienti da diverse zone d’Italia, ha anche portato beni di prima di necessità per la popolazione. La destinazione finale della carovana è stata individuata in Leopoli – all’inizio considerata sicura ma ormai sotto attacco di bombardamenti quotidiani – dove la Comunità Papa Giovanni XXIII è presente fin dai primissimi giorni del conflitto per assicurare conforto e aiutare le persone a lasciare il Paese. Lì è avvenuto l’incontro con le organizzazioni della società civile, autorità religiose e civili con cui la Comunità ha stabilito un rapporto di collaborazione in queste drammatiche settimane. “Da sempre siamo accanto agli ultimi – dichiarava ancora il manifesto -, al fianco delle vittime con azioni umanitarie e iniziative di solidarietà internazionale. Ognuno di noi può fare qualcosa. Non vogliamo restare spettatori e sentiamo l’obbligo di esporci in prima persona”.
Dopo una sosta notturna nei pressi della cittadina polacca di Przemysl, il lungo viaggio è ripreso verso le 4 del mattino, per raggiungere la frontiera ucraina. Superato il confine, subito sono apparsi i primi segni della guerra in atto: trincee, barricate, soldati con le armi spianate e in allerta. I primi contatti con l’Ucraina sono avvenuti nei centri di raccolta della Caritas e dei Salesiani alla periferia di Leopoli, dove sono state scaricate più di 30 tonnellate di medicine e beni alimentari portati dall’Italia. Poi il trasferimento nella grande palestra del seminario vescovile, dove era organizzata la sistemazione per la notte.
Nel pomeriggio il contatto vero con la città, in particolare nei centri di prima accoglienza, dove decine di persone, soprattutto donne e anziani, si mettono in fila per ricevere cibo e acqua. I flussi di profughi sono calati rispetto ai primi giorni, hanno spiegato i volontari, ma sono ancora migliaia le persone che passano da questa regione per raggiungere l’Europa.
A metà del pomeriggio l’arrivo di un treno da Mariupol con un corridoio umanitario. Le sirene anti-aereo hanno suonato più volte ma tutto sembra proseguire come se niente fosse, con i negozi aperti e la vita che continua, sia pure in un modo assurdo. Nella serata del sabato alcuni mezzi sono ripartiti per l’Italia, ospitando un certo numero di persone che hanno scelto di lasciare il Paese.
Fin dall’inizio della guerra, la Comunità Papa Giovanni XXIII ha presentato al governo italiano alcune richieste. Tra queste la revoca della decisione di fornire armi all’Ucraina e di far pressione in Europa perché nessuno Stato invii armi; lo stop alla crescita continua delle spese militari; l’impegno ad adoperarsi per garantire il passaggio sicuro alle agenzie internazionali e alle organizzazioni non governative per l’assistenza umanitaria alla popolazione civile; la proposta di un cessate il fuoco immediato e del ritiro immediato delle forze militari russe da tutto il territorio ucraino; l’attivazione di tutti i mezzi pacifici e nonviolenti che la diplomazia internazionale ha a disposizione per portare Russia e Ucraina a un tavolo per negoziare la pace; il sostegno all’intervento delle Nazioni Unite e alla costituzione di una forza di interposizione indipendente, internazionale e nonviolenta: un corpo civile di pace non armato europeo disposto ad andare in Ucraina.
In un articolo pubblicato da Avvenire, il presidente della Comunità, Giovanni Paolo Ramonda, ha spiegato che “l’iniziativa ‘ Stop the war now’ è nata dalla volontà di essere al fianco delle vittime. La volontà di dire, con la semplice presenza: Non possiamo fermare il conflitto ma non vi lasciamo soli”. Essendo la guerra uno scontro sul piano della forza, aggiunge, “non vince chi ha ragione; vince chi è più forte. Per questo chi è più debole la subisce in maniera devastante. Sempre, in tutte le guerre. Bambini, anziani, malati, donne, minoranze, disabili”.
“Di fronte a questa catastrofe ci sono due scogli da evitare. Il primo è il senso di impotenza: non possiamo far nulla. L’altro è il senso di onnipotenza: possiamo fermare questa guerra. In mezzo a questi due scogli c’è uno spazio di azione enorme. Ed è in questo spazio che si inserisce l’iniziativa di pace che abbiamo assunto. Un’azione civile nonviolenta è la sola via valida per rispondere all’aggressione”.
(a.r.)