Si avvicina la Cop26: ma gli obiettivi fissati per Glasgow potrebbero non bastare
Mentre si avvicina l’anniversario della disastrosa e tragica alluvione che il 25 ottobre di dieci anni fa travolse Lunigiana, Val di Vara e Cinque Terre, abbiamo registrato il secondo evento di criticità meteo di questo inizio autunno. A farne le spese è stata ancora la Liguria, questa volta nel suo territorio centro occidentale, in particolare nel Savonese, ma il maltempo ha coinvolto pesantemente anche altre aree del nostro Paese.
Le immagini sono sempre le stesse: torrenti che invadono strade e abitazioni, frane che interrompono la viabilità, sottopassi che si trasformano in trappole mortali. Tutto con il suo carico di vittime e danni. Purtroppo niente di diverso dal passato, o quasi. Quello che infatti cambia è la frequenza e la violenza dei fenomeni: avvengono sempre più spesso e in modo sempre più repentino così che il semplicistico e disdicevole termine “bomba” è, ogni volta, ormai d’obbligo.
In questa situazione, immancabilmente, le prime ore successive agli eventi fanno sottolineare ai più la necessità di cambiare l’approccio al problema: mettere in sicurezza il territorio, adottare politiche di prevenzione, mitigare il rischio idrogeologico. Se ne sente parlare da molti anni, così come si sa che senza invertire la tendenza che in pochi decenni ha portato ad un generale spopolamento delle aree montane del nostro Paese ogni intervento è destinato ad essere poco più che la toppa in una delle tante buche.
Ma si sa, soprattutto, che per un piano serio di interventi sul territorio nazionale servirebbe l’individuazione di priorità certe, un lungo periodo di tempo e investimenti difficili da immaginare anche perché destinati ad aree poco popolate e considerate (a torto) ormai marginali.
Sottolineato il fatto che è urgente che tali politiche vengano attuate, bisogna riconoscere che, tuttavia, anche queste sono avvertenze delle quali si parla ormai da troppi anni. L’impressione è un po’ quella che siamo arrivati ormai fuori tempo massimo; oggi lo slogan “prevenire è meglio che curare” sembra si debba applicare ad una visione più ampia del problema.
Nonostante anche in queste settimane l’attenzione mediatica sia rivolta quasi esclusivamente ad un dibattito politico molto lontano dal sentire e dalle necessità della gente, sono state comunque diffuse alcune notizie relative alle tematiche ambientali. Gruppi di sindaci e amministratori locali di varie parti d’Italia hanno chiesto (peraltro non è la prima volta) che al tema dei disastri idrogeologici ci si avvicini con una prospettiva allargata, quella cioè di pensare nuove e diverse politiche ambientali e di sostenibilità dello sviluppo all’interno delle quali la prevenzione sia parte sostanziale ma non disgiunta da altro.
L’altro è, ad esempio, quello di cui si parla in Italia, in Europa e nel mondo (almeno in quello Occidentale) in vista della Cop26, la Conferenza sulle politiche ambientali che si svolgerà in Scozia dal 31 ottobre al 12 novembre. Quello di Glasgow si annuncia come un vertice decisivo per il futuro del nostro pianeta e dunque per quello dei giovani di oggi e delle generazioni future. Il tema è quello di adottare politiche e provvedimenti in grado di contrastare l’aumento del riscaldamento globale limitando dunque le sue conseguenze sull’ambiente che ci circonda. Un tema che riguarda il nostro presente di tutti i giorni, visto che le alluvioni di cui si parlava all’inizio sono una delle conseguenze e che, senza correttivi, sono destinate a diventare eventi sempre più estremi.
Gli obiettivi fissati in vista della Cop26 sono chiari: azzerare le emissioni entro il 2050 e limitare a 1,5° l’aumento delle temperature; adottare politiche di collaborazione per la salvaguardia delle comunità e degli habitat naturali; mettere a disposizione finanziamenti adeguati. Da più parti viene evidenziato che questi obiettivi, determinati da tempo visto che il vertice si doveva tenere nel 2020, siano ormai largamente insufficienti; ma è altrettanto chiaro come non sia scontata la loro condivisione tra i Paesi che interverranno alla conferenza.
A spronare perché si cambi atteggiamento, a fine settembre, c’è stato a Milano l’evento “Youth4Climate”: centinaia di giovani da tutto il mondo per dare un contributo concreto in vista della conferenza di Glasgow e, soprattutto, per sensibilizzare chi ha responsabilità di governo dei Paesi ad adottare provvedimenti concreti e idonei. Insomma basta con il “bla, bla, bla”, come ha sottolineato in modo efficace ed irriverente Greta Thunberg, leader di quel movimento giovanile mondiale convinto che il cambiamento possa arrivare più facilmente dalle strade piuttosto che dai vertici internazionali.
L’augurio è che quanti andranno in Scozia facciano di tutto per smentirla: l’esempio negativo di quanto accaduto dopo la Cop21 (quella di sei anni fa a Parigi) è lì a dimostrare che serve un cambio di passo.
Lo stesso che chiede con forza quasi ogni giorno Papa Francesco, che non perde occasione per far riflettere tutti sull’urgenza di fronte alla quale siamo in questo nostro tempo presente. Lo ha fatto anche nei giorni scorsi, richiamando tutti ad un impegno quotidiano, ciascuno per la propria responsabilità: “Abbiamo bisogno di processi più circolari, di produrre e non sprecare le risorse della nostra Terra, modi più equi per vendere e distribuire i beni e comportamenti più responsabili quando consumiamo”.
Come dire che oltre che dai tavoli delle conferenze e dalle strade il cambiamento è necessario che arrivi dalle case di ciascuno di noi. Ogni giorno.
Paolo Bissoli