Le radiose giornate di maggio e il mito dell’impresa dei Mille

Nel 1860 la partenza da Quarto, lo sbarco a Marsala e la conquista di Palermo

21MilleLe “radiose giornate di maggio” del 1860 diedero inizio all’avventura dei Mille di Garibaldi verso la Sicilia, che portò le terre del Regno borbonico all’annessione al Piemonte con ben pilotati plebisciti. Non la repubblica auspicata da Mazzini, Cattaneo e dal partito d’Azione in cui si riconosceva Garibaldi portò all’unità d’Italia, ma la linea monarchica liberale moderata che lasciò invariato l’assetto sociale e la grande proprietà fondiaria. Garibaldi scelse di far partire l’insurrezione dalla Sicilia ritenendo che qui la situazione fosse matura perchè era forte la spinta separatista dal “continente”, era meglio organizzata la rete democratica e si poteva contare su forte appoggio popolare. Si creò il mito dell’eroe pronto a combattere per la libertà dei popoli oppressi.
Lo storico inglese Denis Mack Smith dedica un’approfondita monografia a Garibaldi e spiega che l’impresa dei Mille fu molto sentita nel Regno Unito anche perché sostenuta dalle signorine inglesi affascinate dall’eroe biondo in camicia rossa e poncho sulle spalle. Gli inglesi guardarono con favore gli avvenimenti del Meridione d’Italia, protessero tacitamente l’impresa, specialmente in Sicilia molti avevano residenze e aziende di produzione del vino di Marsala, la città dove non a caso sbarcarono i due piroscafi sequestrati.

Pontremolesi al seguito di Garibaldi

21Pompeo_SpagnoliNel 1961, centenario dell’unità d’Italia, uscì il numero unico Il Campanone, edizioni Città del libro in cui sono riportate parti di una conferenza tenuta da Pietro Ferrari a Pontremoli il 5 settembre 1933 poi pubblicata in opuscolo Lo seguirono cantando: sono le camicie rosse pontremolesi che combatterono con l’Eroe su tutti i campi delle sue imprese. Sono stati molti, non potendo ricordarli tutti, Ferrari fa rapida rievocazione di alcuni nati e morti a Pontremoli, parte dal più noto Pompeo Spagnoli (1829-1897), a cui è dedicato il ponte a Porta Parma. Nel 1848 merita la medaglia al valore nella battaglia di Curtatone, è a Roma a difendere la Repubblica del 1849, finita per l’intervento francese; ferito segue Garibaldi nella ritirata insieme ai pontremolesi Giuseppe Focacci (1829-1904) e Pietro Dani (1825- 1852). Insieme raggiungono Arezzo sfuggendo alle forze reazionarie, arrestati come malfattori sono rimandati ammanettati a Pontremoli. Spagnoli è obbligato a fare il soldato nell’esercito del duca di Parma allora sovrano dei sei Comuni dell’Alta Lunigiana. Il duca fu assassinato nel 1854, Spagnoli torna a Pontremoli ma, perseguitato dalla polizia per le sue idee, torna a fare il barbiere alla Spezia. Agli squilli della II guerra d’Indipendenza chiude la bottega e con altri pontremolesi si arruola nei Cacciatori delle Alpi, nel 1860 raggiunge Garibaldi con la seconda spedizione guidata da Giacomo Medici, combatte fino a Capua, torna a Pontremoli, è pronto a seguire Garibaldi quando tenta di prendere Roma ma è fermato sull’Aspromonte: la polizia arresta Spagnoli a Genova, di nuovo è con Garibaldi in Trentino nel 1866 e nell’impresa fermata a Mentana dai francesi nel 1867.
Enrico Buttini (1830-1859) volontario combatte a Bologna e ad Ancona contro gli Austriaci, a Roma combatte per la Repubblica, segue Garibaldi nella ritirata, ad Arezzo si disperde, s’imbarca per Corfù poi arriva a Istanbul. Tornato in Italia, ripara a Genova e riprende gli studi universitari, può tornare a casa, continua l’attività di cospiratore ma è stroncato a 29 anni da malattia. Il garibaldino Armando Tassi comanda la spedizione di volontari pontremolesi che Buttini non poté seguire per la malattia, con Venti Gaetano, Bocconi Enrico, Bonzani Giuseppe.
Guglielmo Giumelli (1848-1932) è l’ultima camicia rossa, la volle sulla bara. Combatte volontario con Garibaldi a Bezzecca nel 1866. Commovente il ricordo di Vincenzo Ferretti, nato a Pontremoli, ragazzo di 17 anni, nella battaglia del Volturno rimane ferito mortalmente il 2 ottobre 1860, si tormenta per non essere riuscito a vedere Garibaldi, ma in ospedale a Napoli lo cura una signora che scriverà al fratello dicendo che Vincenzo morì felice dopo la visita di Garibaldi che gli lasciò la sua sciabola. (m.l.s.)

Sotto la spinta di ideali libertari e del carisma del condottiero molti seguirono Garibaldi secondo la storiografia ufficiale, che ha fondamento oggettivo anche sulla psicologia collettiva, sull’immagine che si incardina sui grandi protagonisti: i miti sono fondatori degli eventi al pari dei fatti nudi e crudi.
Dai verbali di polizia dove erano schedati i volontari al seguito di Garibaldi: di contro alla narrazione epica del Risorgimento, risulta che la maggiorana affermava che non l’ideale ma il bisogno li aveva mossi, per avere un soldo e cibo: la dichiarazione era probabilmente un espediente per evitare sanzioni ma non privo di verità. Anche i contadini che seguirono in massa i Mille e determinarono le vittorie sulle truppe borboniche si aspettavano un “liberatore” dallo sfruttamento economico e sociale, invece dove si ribellarono, come a Bronte, furono le stesse autorità garibaldine a reprimere con fucilazioni e arresti.

Maria Luisa Simoncelli