L’aria fredda e lucida sa di montagna. Uno sguardo e ci si trova subito sul filo del crinale, vicino come non mai al vento, spesso, alla tramontana che gioca con le cascatelle del torrente Bagnone che scorre nel vetusto borgo di Iera quasi a fargli compagnia, specialmente nella stagione invernale quando gli abitanti si riducono a qualche decina. Saliamo alla scoperta del paese per rileggere pagine di storia, custodita nelle pietre, nei portali, nelle pagine che “parlano” narrando gli eventi dei nostri antenati. “Non si può parlare di Iera senza nominare i Malaspina ed il feudo di Treschietto di cui Giovanni fu il primo signore, ottenendone investitura imperiale nel 1355. A tale feudo, ci dice Monica Armanetti, competente curatrice dell’ Archivio della Memoria di Bagnone, insieme a Vico, apparteneva anche Iera. Mancano tracce scritte di questa ridente frazione, solo poche testimonianze nella memoria popolare tramandate, oralmente, da una generazione all’altra. Fra Iera e Compione rimangono scarsi resti di costruzioni difensive del “limes bizantino” contro le invasioni longobarde. Da qui si aveva il controllo non solo delle valli circostanti, ma anche della via del Sale. Ruderi nascosti, oggi, dalla folta vegetazione. Lunghe e oscure gallerie ci introducono da ogni lato nel centro del borgo: le case costruite su alte mura, allacciate le une alle altre; in basso minuscole finestre munite di inferriate, i portali chiusi da solidi portoni. Stupisce l’eleganza degli architravi scolpiti nelle aperture che si affacciano, come occhi curiosi, sul borgo principale. Caratteristica la parte, quasi sotterranea, composta da gallerie, volti, cantine, stalle … adibite al ricovero delle bestie: unica ricchezza del tempo, magazzini per riporre attrezzi agricoli e raccolti vari. Un portale, di quella che conserva ancora l’aspetto di una rocca, reca uno stemma gentilizio che riunisce diversi simboli della Lunigiana (stele, artigli di rapace, gigli fiorentini, aquila bicipite …) che rimandano alla “PROVINCIA MARITIMA ITALORUM” ossia a quella parte della Liguria che subì l’invasione longobarda per poi passare al dominio obertengo. I vecchi narravano che attorno al 1689 gli uomini di Iera si scontrarono con quelli di Compione per ragioni di pascolo. Due territori sottoposti il primo al marchese di Treschietto ed il secondo al Granduca di Toscana. A seguito di tale discordia agli uomini di Compione venne impedito il transito di merci e armenti attraverso il marchesato, pena la confisca. Ad un primo esame, Iera appare costituita da tre nuclei ben distinti raggiunti, dall’esterno del paese, dal sentiero che portava all’Arpa dove i pastori vivevano la transumanza. Un poderoso, elegante arco introduce ad una corte formata da diversi edifici chiamata “Ca’ di Belli” mentre nel vicolo “Ca’ di Berni”, nel primo Novecento, era stata aperta una pluriclasse alla quale affluivano anche bimbi dalle frazioni limitrofe. Nella minuscola piazza appare la Chiesa, dedicata a S. Matteo, abbellita da un portale settecentesco, decorato con elegante festone con fiori e frutti, riportante il motivo per cui la chiesa eretta dal popolo nel 1665 sostituiva quella di S. Biagio, fatta erigere nel 1662 nel cimitero, nelle campagne di Iera. Ed è proprio a S.Biagio che viene, ogni anno, tributata dagli abitanti la festa più importante dell’anno con il rientro massiccio degli emigranti sparsi, soprattutto, nel Nord dell’Italia. In quel “paradiso terrestre” d’allora i nostri conterranei, battezzati dalla miseria e dalla nostalgia degli amati monti, portarono intraprendenza, onestà, spirito di sacrificio fino ad affermarsi per l’enorme voglia di riscatto. Percorrendo l’abitato pare che le tante feritoie siano ancora lì a spiare il passaggio di chi si perde fra le buie arcate dove fascine di legna e vecchi attrezzi ormai abbandonati, pendono inerti dai muri. Finestre ferrate aperte ai silenzi di antiche stanze dove non è difficile ricreare le immagini – come ripetono l’attuale parroco don Angelo Boattin ed il sindaco Carletto Marconi- di coloro che secoli addietro vi hanno vissuto la loro vita grama fatta di fatica, di sudore, di fame, di tristezza, di semplici gioie e di speranze. Animati da fede semplice spesso affidata alle “preghiere di pietra” ossia alle maestà poste lungo i sentieri. Fiabesco e sacro, remoto, semplice e maestoso e non moderno, grazie all’unico bar-ristorante che propone enogastronomia casereccia, Iera rimane pur sempre un pezzo d’Italia che continua a far vivere le proprie radici.
Ivana Fornesi