Myanmar: il popolo è unito  e ha fame di democrazia

“Per favore, pregate per noi e aiutateci a combattere contro le forze del male”

Suor Ann inginocchiata davanti alla polizia del Myanmar

Mentre da tutto il mondo si lanciano appelli per il ritorno del Paese alla democrazia, in Myanmar si lotta ancora contro il colpo di stato dei militari e si contano i morti: dal 1 febbraio al 24 marzo, le vittime “confermate” sono 293, alle quali si aggiungono centinaia di feriti e prigionieri. La cosa grave – racconta al Sir una fonte protetta dall’anonimato – è che a morire per le strade del Myanmar sono soprattutto i giovani. Secondo le stime, la maggior parte delle vittime ha un’età compresa tra i 19 e i 30 anni e ci sono anche 35 corpi di ragazzi al di sotto dei 18 anni.
È di pochi giorni fa la notizia di una bimba di soli 7 anni raggiunta dai proiettili dei militari mentre era in casa, seduta sulle ginocchia del suo papà. Terrorizzati e per la paura di essere arrestati, gli abitanti fuggono dalle loro case e abbandonano i villaggi dove i militari stanno facendo quello che vogliono, uccidendo anche gli animali. “Il Paese sta precipitando nel caos”, racconta la fonte al Sir.
“Ogni giorno, i militari fanno razzie, rapiscono, picchiano e uccidono civili innocenti. Di notte continuano a terrorizzare le persone, sparare nelle loro case e rapinare le proprietà. Sfondano le porte, arrestano arbitrariamente le persone e il mattino successivo restituiscono i cadaveri alle loro famiglie. A morire sono anche adolescenti e giovani, colpiti mentre si battono per la libertà e la democrazia”.

Aung San Suu Kyi, premio Nobel per la Pace 1991

L’informazione ormai viaggia a singhiozzo, nell’anonimato, via Internet. Arrivano video e immagini clandestine che documentano quanto sta effettivamente succedendo in tutto il Paese. I due principali canali televisivi lavorano per i militari. I giornali privati ​​sono minacciati e costretti a interrompere la pubblicazione.
Le forze di sicurezza fanno irruzione nelle case dei giornalisti e li arrestano di notte. Chiunque viene trovato in possesso di qualsiasi informazione e foto relativa alle proteste e contro i militari archiviate nei telefonini, nei tablet e nel pc può essere arrestato. Dal 15 marzo, la rete Internet viene regolarmente disattivata e sta diventando sempre più difficile accedere ai social media. La via del dialogo e del confronto tra le parti auspicata dalle Chiese cristiane e dai leader religiosi del Paese sta diventando purtroppo sempre più difficile da percorrere.
“La Chiesa, spiega la fonte, ha fatto del suo meglio per costruire ponti di pace e di giustizia ma i militari non si fidano e non ascoltano nessuno. Sono sordi ai leader religiosi. La loro missione è instillare paura nei cuori delle persone”. C’è una novità importante, che lascia aperta una piccola porta alla speranza, ed è l’unità del popolo del Myanmar e la partecipazione dei giovani alla lotta per la democrazia.
“Il popolo del Myanmar – dice la fonte del Sir – è unito contro le forze del male del regime militare. Le giovani generazioni sono attive nella lotta per la democrazia. Tutto questo è segno che il popolo ha fame di democrazia, di rispetto del diritto, di pace e giustizia. Sono certo che questo popolo pacifico vincerà questa battaglia e che il Paese tornerà ad essere una nazione che si basa sulla pace e sulla giustizia, nel rispetto dei diritti umani e della dignità. Ma per favore, continuate a pregare per noi. Aiutateci a combattere contro le forze del male. Chiedete alle comunità internazionali di venire a salvarci con ogni mezzo possibile. Non possiamo vincere questa battaglia da soli”.

M.C.B. – Agensir

 

In Indonesia sfiorata la strage nella cattedrale di Makassar

L’attentato suicida di domenica scorsa contro la cattedrale cattolica del Sacro Cuore di Gesù (arcidiocesi di Makassar, Indonesia) ha gettato di nuovo nel terrore la comunità cattolica, riunita per celebrare l’inizio della Settimana Santa. Nell’attacco sono morti i due attentatori e sono rimaste ferite più di 20 persone.
Il parroco, padre Tulak, ha dichiarato che i due attentatori hanno cercato di entrare attraverso il cimitero ma sono stati fermati dalle guardie di sicurezza della cattedrale. Cinque di questi agenti e diverse persone che stavano seguendo la messa all’interno della chiesa hanno subito ustioni e ferite a causa dell’esplosione, ma nessuno è rimasto ucciso. Unanime in tutto il Paese la condanna per quanto avvenuto.
Il card. Ignatius Suharyo, presidente della Conferenza episcopale indonesiana, ha affermato che “l’esplosione della bomba non danneggia solo i cattolici, ma anche tutto il popolo indonesiano” ed ha esortato tutti “a costruire instancabilmente una vera fraternità tra i concittadini della nazione”. Il ministro della Religione, Yaqut Cholil Qoumas, ha condannato fermamente l’attentato: “Qualunque sia il motivo, questa azione non è giustificata dalla religione”. Il Consiglio indonesiano degli Ulama ha denunciato l’esplosione come “un attacco contro l’umanità” che “non può essere tollerato perché contraddice i valori religiosi”. La polizia ha dichiarato che almeno uno degli attentatori era legato a gruppi di radicali islamici delle Filippine, già autori, in quel Paese, di diversi attentati contro le chiese cristiane.