L’ipotesi della riapertura del sito nel comune di Fivizzano è prevista nel Piano Integrato del Parco delle Apuane. Da Legambiente e dal sindaco di Carrara un secco “no” a questa idea
Le cave sono da sempre “croce e delizia”, “fortuna e sfortuna” per gli abitanti dei territori in cui sono aperte, perché fonti insostituibili, talvolta uniche, di lavoro, duro e faticoso, ma obbligato, in assenza di altre opportunità, e spesso causa di infortuni anche mortali. Quello del cavatore, in particolare nella Valle del Lucido, è stato, in un passato poi non tanto lontano, il mestiere più diffuso (oggi conta poche persone) e praticato anche con passione, non mettendo in conto il sacrificio di stare lontano dai famigliari per l’intera settimana lavorativa, al freddo, d’inverno, al caldo “abbagliante”, d’estate. Quanti racconti si sono sentiti di “grandi varate”, delle “lizzature” per la discesa a valle dei blocchi, del loro trasporto alle segherie con le “ciavattone”, che spesso perdevano pezzi di gomma dalle gigantesche ruote, catturati dai bambini per farne palline. La questione ambientale, però, non compariva nei discorsi, non veniva mai posto il problema che, oggi, nella nostra provincia, è all’ordine del giorno della politica, delle associazioni di settore, dei comitati di cittadini, delle istituzioni. Le nuove tecniche estrattive stanno producendo con facilità ampie ferite, uno scempio, a detta di alcuni, alle Apuane, tanto da far suonare un campanello di allarme a loro difesa. Del resto basta considerare che nel 1999 la rendita operativa di una cava, per addetto, era di 1.000 tonnellate, mentre oggi di 2.500, per rendersi conto della necessità di porre qualche limite all’escavazione. Giustamente, pertanto, i Comuni, che ricomprendono nel loro territorio delle cave, hanno dovuto, per legge, predisporre i cosiddetti Pabe (Piani attuativi dei bacini estrattivi), per regolamentare, per i prossimi dieci anni, la quantità di marmo da escavare e le modalità di utilizzazione dei residui della lavorazione e della marmettola.
Anche il Parco Apuane si è attivato in proposito, approvando una proposta, frutto di lunghi studi di esperti, di Piano Integrato nella riunione del 29 novembre 2021, col quale, ha dichiarato il presidente Alberto Putamorsi, “è stata affrontata l’annosa questione delle aree estrattive”. Il Piano prevede anche la “chiusura di 8 cave, tra cui due di Casola (Col Pelato e Poggio di Sante), oltre la riduzione del 58% delle aree destinate all’estrazione”. All’approvazione definitiva del Piano è collegata la riapertura di un sito che coinvolge il Comune di Fivizzano sul versante opposto a Campocecina, la Cava Peghini, che si trova in territorio fivizzanese, è chiusa da decenni, ma è raggiungibile solo attraversando in gran parte il territorio del Comune di Carrara. Contro la sua riapertura, che comporterebbe la costruzione di una strada in un ambiente rinaturalizzato, si è levato un coro di proteste. Lo stesso Sindaco di Carrara, Francesco De Pasquale, ha espresso decisa contrarietà, perché “causerebbe danni irreparabili all’ambiente”. Ad opporsi con fermezza lo invita Legambiente, che si appella anche alle recenti modifiche apportate alla Costituzione in materia di tutela ambientale. Stesso invito rivolge anche al Sindaco di Fivizzano. La Comunità del Parco, riunita il 12 febbraio, con la partecipazione dei Sindaci e dei Presidenti delle provincie che ne fanno territorialmente parte, avrebbe dovuto esprimere il proprio parere sul Piano, per avviarlo all’approvazione definitiva. Siccome, però, numerosi sono stati gli argomenti contestati da alcuni Sindaci, in particolare per quanto riguarda la riduzione delle aree contigue (58%), dove si può fare attività estrattiva, la riunione ha dovuto aggiornarsi a data da destinarsi. Quindi tutto rinviato, anche per la cava Peghini, per la quale non è la prima volta che vengono fatti tentativi di riapertura.
Andreino Fabiani