Quella riforma della Scuola che lasciò molti insoddisfatti

Cento anni fa venivano approvati una serie di provvedimenti con i quali il ministro del goveno Mussolini, Giovanni Gentile, riorganizzò l’Istruzione scolastica: dalla materna all’Università

Giovanni Gentile (1875 – 1944)

Un secolo fa, era il 1923, il nuovo governo Mussolini, con pieni poteri concessi dal re, varava un’organica riforma di tutta la scuola italiana dal Giardino d’infanzia all’Università.
L’impianto fu elaborato dal filosofo neoidealista e ministro Pubblica Istruzione Giovanni Gentile (Castelvetrano 1875 – Firenze 1944) con collaborazione di Lombardo Radice.
La sua filosofia detta “attualismo” mette al centro come unica realtà effettiva “l’atto del pensiero pensante”: l’io, lo spirito, la natura esistono solo nell’atto stesso del pensare soggettivo, un primato dello spirito a cui si richiama anche la riforma che prende il suo nome, improntata in teoria alla libertà di studio.
Invece è evidente l’impianto elitario, aristocratico, antimoderno e antidemocratico della scuola superiore, la vuole riservata solo ad alunni di viva intelligenza, dediti alla cultura oppure di famiglia ricca, che prepari agli studi scientifici.
La tendenza è a ridurre la popolazione scolastica, tagliando fuori a livello alto l’apertura ai bassi ceti sociali. Una scuola autoritaria, classista, paternalista e maschilista, poche le alunne femmine, per Gentile le donne sono “meno dotate” e hanno “meno vigore intellettuale”.
Fare una scuola più progressista rimase un intento a parole. Le migliori innovazioni sono l’istituzione delle Scuole dell’infanzia e i nuovi criteri delle elementari, portano l’obbligo di frequenza a età più alta, finanziate di più e con accoglienza anche di bimbi ciechi, sordomuti.
L’attività prevalente nel “Giardino” viene dedicata al gioco e alla creatività, al canto, a esercizi ginnici, facili costruzioni, a favorire lo sviluppo ed espressione della personalità in preparazione della scuola elementare, che viene distinta in un primo ciclo di tre anni e, superato un esame, c’è accesso a quarta e quinta classe.
La didattica doveva mirare a costruire nel bambino i primi elementi del sapere da parte di insegnanti formati in scuole speciali (Scuola e Istituto magistrale). Molta cura era per il libro unico di testo.
Classi distinte maschili e femminili, con lezioni di “lavori donneschi” e di economia domestica per le ragazze. Nei programmi ministeriali obbligatori ci sono elementi di matematica, geografia agraria ed economica, scienze, poesie a memoria, traduzioni in lingua italiana dai dialetti, educazione sanitaria e ordinamento dello Stato e del lavoro là dove c’erano flussi migratori interni.
Bisognava liberare gli alunni anche da pregiudizi e superstizioni popolari e, a coronamento della scuola elementare, c’è la religione di stato, la cattolica.
Dopo ci sono corsi di tre anni di esercitazioni pratiche in una rosa di materie scelte dall’alunno; nel 1928 diventano l’Avviamento. Con esame di ammissione (non basta la licenza) si accede alla Scuola Media di nuova istituzione.
Per chi sceglie gli studi superiori c’era il ginnasio quinquennale, IV e V ancora oggi dette classi ginnasiali con esame di accesso (tolto dopo la contestazione globale del sessantotto) al triennio di liceo classico riservato a pochi ritenuti i migliori secondo una concezione aristocratica di cultura e formazione.
Nascono il Liceo Scientifico e l’Istituto Magistrale e Istituti Tecnici tutti con 4 anni di corso. Per le donne c’è un liceo femminile di tre anni di corso, chiaro indizio di antifemminismo: alla donna anche se di alto ceto si appresta una scuola per acquisire una cultura generale, che dà un diploma ma non valido per l’università; ebbe poche adesioni e presto sparì.
Il liceo classico è organizzato come scuola superiore di eccellenza, dà accesso a tutte le facoltà universitarie, mentre dallo scientifico non si può iscriversi a Lettere, Filosofia e Giurisprudenza e dal Magistrale si accede solo alla facoltà di magistero; dagli Istituti Tecnici solo a facoltà di economia agraria e statistica.
Il liceo classico vuol essere per i ceti alto-borghesi per formare la classe dirigente, che veniva a conoscere il grande pensiero degli antichi. La riforma dà più rilevanza alle materie umanistiche, filosofiche.
Studiosi e oppositori politici protestarono per il minor rilievo dato al rigore e alla precisione delle materie scientifiche privilegiando le concezioni teoriche e filosofiche, insoddisfatta fu anche l’Accademia dei Lincei.
La svolta totalitaria del fascismo non fu più d’accordo con l’umanesimo liberale perché contrastava con l’uomo forte e nuovo che voleva formare. Dopo vari ritocchi si arrivò alla Carta nuova della scuola del 1939 col ministro Giuseppe Bottai; ebbe contro i fascisti fanatici che volevano manipolare il ceto medio e l’opposizione liberale gobettiana, parte della cattolica, comunista che miravano a una democratica gestione delle masse nel tramonto del capitalismo paternalistico.
Le Università ebbero rettori di nomina ministeriale non più dal senato accademico, rimasero le Università libere e private (Cattolica, Bocconi..). C’era controllo anche sulla moralità degli insegnanti.
Confuse e conflittuali rimasero le scuole artistiche e di tutela del patrimonio archeologico, librario e archivistico.
La religione cattolica fu obbligata in tutte le scuole col Concordato. L’obbligo di istruzione fino a 14 anni non fu rispettato da tutti: ancora a inizio anni trenta circa 1/4 non frequenta le scuole elementari, invece è positivo l’effetto della riforma nella scuola materna, nel 1929 gli asili nido erano aumentati del 62% e le elementari del 53%, in città più che in aree rurali.
La libertà didattica era affermata però il preside di nomina ministeriale controllava e dava qualifica.
Una riforma giudicata da molti uomini della cultura fuori tempo, non tiene in conto adeguato il nuovo sistema economico e civile, è troppo centralista, il rapporto docente e alunno non considera i problemi psicologici dell’età evolutiva.
La riforma con tante opposizioni sopravisse fino alla legge sulla scuola Media unica del 1962 e i fermenti del 1968. C’era bisogno di iniziative pedagogiche dopo Freud e il metodo Montessori.

Maria Luisa Simoncelli