Bonifiche nella zona industriale apuana: in arrivo i soldi della Regione

Immobilismo, burocrazia, ostacoli amministrativi: ad oltre 30 anni dalla chiusura delle grandi imprese chimiche e siderurgiche la bonifica del polo industriale tra Massa e Carrara è ancora da cominciare. Preoccupa l’inquinamento della falda, mentre le condizioni ambientali impediscono l’insediamento di nuove imprese.

Area industriale apuana
Area industriale apuana

Se si tratta dell’ennesimo capitolo di una saga cominciata all’inizio degli anni ’90 del secolo scorso, o se invece la storia a tinte grigie della bonifica dell’area industriale di Massa e Carrara si avvia per verso la realizzazione, è presto per dirlo. La notizia però è importante: Regione Toscana ha annunciato il 10 novembre il rifinaziamento della bonifica della falda nell’area su cui insistevano le industrie chimiche della Zona Industriale Apuana: Firenze metterà a disposizione 3,6 milioni di euro per il 2023 e 8,4 milioni per il 2024. L’annuncio della Regione potrebbe – il condizionale è d’obbligo – dissipare le incertezze che negli ultimi mesi si erano accumulate sulle prospettive della bonifica di un’area che nei suoi circa 50 anni di vita industriale ospitò il principale polo industriale della provincia, rappresentando un presidio occupazionale ma contemporaneamente un’emergenza ambientale che deflagrò nel luglio 1988 con il rogo e la nube tossica della Farmoplant. Enichem-Rumianca, Italiana Coke, Dalmine, Solvay-Bario, Fibronit, la stessa Farmoplant sono i nomi più rappresentativi di un polo produttivo che a fine anni ’70 occupava quasi 10 mila addetti, per due terzi concentrati in una dozzina di grandi imprese, e che tramontò a fine anni ’80, quando le più rappresentative imprese chimiche e siderurgiche chiusero i battenti una dopo l’altra, lasciando sul campo 3 mila disoccupati e un’enorme area contaminata da agenti chimici e metalli pesanti. Ci vollero quasi dieci anni per perimetrare e istituire, tra il 1998 e il 1999 un “sito di interesse nazionale” (SIN) da bonificare; dopo un nulla di fatto durato oltre un decennio, l’area fu riperimetrata alla luce di nuove analisi e in larga parte qualificata come “sito di interesse regionale” (SIR) affidato a Regione Toscana, per il recupero di falda e terreni su una superfice di 3.560 ettari, dei quali circa 1.894 a mare e 1.665 a terra relativi all’area Zia (Zona industriale apuana) e ad ampie zone residenziali di Massa e di Carrara. Per l’alto livello di inquinamento rimasero di interesse nazionale l’area ex Ferroleghe ed ex Enichem, 116 ettari di cui la bonifica è ferma al 10% della superfice e al 3% per quanto riguarda la falda.

Nel 2016 un Accordo di programma tra Regione, ministeri dell’Ambiente e dello Sviluppo economico, comuni di Massa e di Carrara, Consorzio Zia e Camera di commercio finanziò con 3 milioni di euro una prima fase di interventi prioritari di messa in sicurezza e bonifica nelle aree residenziali e una serie di studi e aggiornamenti che permettessero di porre le basi per le bonifiche seguenti. I soldi necessari per partire davvero con le operazioni di bonifica arrivano solo nel 2018: 13 milioni provenienti dal Fondo di sviluppo e coesione, da impegnare entro il 31 dicembre 2022. Il 14 settembre arriva però la doccia fredda: incertezze interpretative della normativa amministrativa portano la chiusura del procedimento di appalto oltre la scadenza di fine anno e il Ministero della Transizione ecologica ritira il finanziamento. In piena campagna elettorale la notizia diventa oggetto di scambi di accuse reciproche tra forze politiche, fino all’annuncio dell’assessore regionale all’ambiente Monia Monni, che in ottobre dichiara ad un tavolo istituzionale a Massa che sarà Firenze a rendere disponibili 12 milioni per proseguire l’iter amministrativo e avviare le operazioni di bonifica, in attesa che il nuovo governo restituisca la somma attingendo al Fondo per lo sviluppo e la coesione 2021-27. A 34 anni dal rogo Farmoplant, quindi, la bonifica sostanzialmente non è ancora partita, chiamando in causa le responsabilità di un paio di generazioni di classe politica locale e nazionale incapace di dare soluzione ad un’emergenza che lascia sul campo problemi ambientali e economici. A livello ambientale – come ha dichiarato in un convegno organizzato a Palazzo Ducale da Europa Verde due settimane fa il geologo Andrea Piccinini, che ha seguito il progetto di bonifica per conto di Sogesid (la società del Ministero dell’Ambiente che ha pianificato gli interventi) – le analisi di Arpat sulle acque di falda hanno verificato un gran numero di analiti, anche cancerogeni, che superavano di centinaia di volte il limite. Sul piano economico, le categorie produttive a più riprese hanno sottolineato come la zona industriale apuana risulti di interesse per molte imprese che tuttavia rinunciano all’insediamento proprio per i problemi di una bonifica che ancora tarda ad arrivare.

(Davide Tondani)

Buca degli Sforza, Lusuolo, Pallerone: le altre emergenze ambientali in Provincia
 
La Buca degli Sforza, a Massa, in zona Ronchi
La Buca degli Sforza, a Massa, in zona Ronchi

Sono almeno tre le altre aree oggetto di bonifica o di vigilanza ambientale in provincia. 

A Massa, in zona Ronchi, la bonifica di Buca degli Sforza, una zona umida retrodunale nella zona del Cinquale divenuta, intorno agli anni ‘70, discarica dei materiali di scarto della lavorazione della dolomia da parte della società Dolomite di Montignoso Spa, sarà finanziata dai fondi della missione 2 del Pnrr, come annunciato a inizio 2022.
È a carico dell’Agenzia del Demanio, dopo un contenzioso legale durato quasi un ventennio, la bonifica dei 17 ettari dell’area della Colombera, a Pallerone, in comune di Aulla, dove sono stoccate 50 mila tonnellate di rifiuti non organici eredità della Cjmeco, l’impresa operante nel trattamento dei rifiuti insediatasi nell’ex Polveriera tra i torrenti Bardine e Aulella a fine anni ’90.
Nessuna bonifica per il momento si è ancora resa necessaria per la discarica di Lusuolo, nel comune di Mulazzo, un sito di conferimento dei rifiuti aperto anch’esso circa trent’anni fa e al centro di una battaglia politica e ambientale che ne determinò la chiusura a nuovi conferimenti, ma che da diversi è ritenuta una emergenza ambientale semidimenticata.