Un “analfabetismo legislativo” che riguarda tutti noi

Dietro il decreto “anti rave” c’è un messaggio politico: mostrare che il governo di destra inizia con il pugno duro

Il Governo Meloni ha inaugurato la propria attività con un decreto-legge, il n. 162 del 2022, che ha subito suscitato consistenti critiche e polemiche. Cerchiamo di capire meglio di cosa si tratta. Le norme riguardano diversi ambiti: ergastolo ostativo, obblighi di vaccinazione anti Covid, prevenzione e contrasto dei raduni illegali (oltre che di un altro tema che qui si tralascia). Già questo dovrebbe suscitare qualche considerazione, atteso che, secondo Costituzione, i decreti-legge dovrebbero avere un contenuto omogeneo: e tra l’ergastolo, il Covid e i rave party risulta difficile trovare una qualche omogeneità.
Michele Ainis lo ha definito “un minestrone”: ma almeno i minestroni sono buoni e fanno bene. Questo peraltro è un problema non di ora e può solo osservarsi che il Governo Meloni si è adeguato all’andazzo, fin dal primo atto.

Il Ministro dell’Interno Matteo Piantedosi

Veniamo alla sostanza, concentrandoci sulla cosiddetta disposizione anti rave. Ricordiamo, intanto, che per la Costituzione “i cittadini hanno diritto di riunirsi pacificamente e senz’armi”. Anche la Convenzione europea dei diritti fondamentali (CEDU) e la Carta dei diritti dell’Unione europea sanciscono tale diritto, entrambe a condizione che la riunione sia pacifica (e la CEDU consente agli Stati di porre dei limiti a tutela di beni rilevanti, quali la sicurezza nazionale, la difesa dell’ordine e la prevenzione dei reati, la protezione della salute e altro ancora). Un diritto che riguarda sia le riunioni organizzate che quelle occasionali (cioè gli assembramenti), mentre tra le prime rientrano le cerimonie, le processioni religiose, le manifestazioni – studentesche o di altra natura -, i comizi, i sit-in e così via.
Dunque, in questo quadro costituzionale, cosa stabilisce il decreto Meloni? Esso punisce un particolare tipo di riunione, che viene così definito: “L’invasione di terreni o edifici per raduni pericolosi per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica consiste nell’invasione arbitraria di terreni o edifici altrui, pubblici o privati, commessa da un numero di persone superiore a cinquanta, allo scopo di organizzare un raduno, quando dallo stesso può derivare un pericolo per l’ordine pubblico o l’incolumità pubblica o la salute pubblica”. Per chi promuove queste riunioni è prevista una pena molto alta (da tre a sei anni!), mentre chi vi partecipa senza organizzare è punito di meno (di quanto, non si dice).
Al di là dell’abnormità della pena prevista, che lo stesso Governo ha promesso di rivedere, sta l’evidente evanescenza della definizione, che rischia di essere assai pericolosa. A parte la forma italiana perlomeno rivedibile (“l’invasione… consiste nell’invasione”: una tautologia che la maestra mi avrebbe segnato con la matita blu già alle scuole elementari), sta però l’estrema genericità della previsione, che attribuisce all’autorità pubblica un potere assai ampio. In cosa potrà consistere una “invasione arbitraria di un terreno pubblico”, quando la Costituzione garantisce che per queste non è richiesta autorizzazione? E come si potrà stabilire se questa potrà costituire un pericolo per l’incolumità o la salute pubblica? Anche una processione potrebbe creare pericoli per l’incolumità pubblica (come anche avvenuto in alcuni casi): ed allora gli organizzatori dovranno essere puniti fino a sei anni di reclusione?

La presidente del Consiglio Giorgia Meloni con Ursula Von der Leyen, presidente della Commissione Europea (Foto SIR/European Commission)

Si deve anche ricordare che esiste già un’altra norma, l’art. 633 del codice penale, che, sotto la rubrica “Invasione di terreni o edifici”, punisce “chiunque invade arbitrariamente terreni o edifici altrui, pubblici o privati, al fine di occuparli o di trarne altrimenti profitto” con la reclusione da uno a tre anni e con una multa. Che rapporto c’è, e dovrà esserci, tra queste due previsioni? Non bastava quella che già c’era se si volevano impedire i rave?
Mi scuso se sono stato forse troppo tecnico, ma mi pareva necessario per avere effettiva contezza del problema. Un autorevole penalista ha definito questo testo “un caso assoluto di analfabetismo legislativo” (T. Padovani sul “Foglio” del 2 novembre scorso) e mi pare difficile dargli torto.
Quello che però vorrei ancora sottolineare è che questo decreto costituisce – in fondo in fondo, e forse è questo è il vero intento – un “messaggio politico”: si voleva far vedere che il governo di destra comincia con il pugno duro, e che le promesse fatte in campagna elettorale saranno mantenute, perlomeno quelle che non costano nulla (a chi fa le leggi). Che poi quel pugno duro rischi – alternativamente – o di non schiacciare nemmeno una mosca oppure di far danni ben più gravi di quelli che intenderebbe fare è un problema che di regola alla politica (e non solo a quella di destra!) interessa relativamente. L’importante è “mandare un messaggio”, come è tipico di quella che Luciano Violante ha definito la “psicolegislazione”, approvata sull’onda dell’emotività legata a fatti di cronaca. Ma c’è un rischio: a sparare in aria qualche volta si abbassa il braccio.

Emanuele Rossi